Uno spirito inquieto; un narratore di favole crude, ribelli ed assurde; il testimone di un’epoca che oggi – al confronto con la nostra – immaginiamo più umana e più veritiera; un uomo che ha assaporato il successo e la decadenza e che, adesso, viene considerato – utilizzando letture e definizioni che sono un po’ troppo semplicistiche e figlie di quel sistema culturale che preferisce non approfondire, non studiare e soprattutto banalizzare ogni aspetto dell’esistenza – uno dei numi tutelari del punk-rock, di quel punk-rock che, a differenza di quello attuale, ricco e luccicante, era, originariamente, sporco, sfrontato, squattrinato e genuino.
Quanto di tutto ciò traspare dal suo diciannovesimo album in studio, “Every Loser”, un album che vede protagonisti, oltre che, ovviamente, Iggy Pop, anche Duff McKagan e Chad Smith, rispettivamente al basso ed alla batteria? Fortunatamente nulla, perché possiamo mettere da parte, almeno per i 36 minuti e 57 secondi di questi undici brani, tutte le parole, le sovra-strutture, gli assiomi e le formule virtuali che, solitamente, applichiamo a tutto ciò con cui entriamo in contatto, compresa la musica, e possiamo lasciarci rapire da quello che vuole essere puro e rumoroso rock ‘n’ roll. Rock caustico, ma, allo stesso tempo, capace di evocare, con le sue melodie, atmosfere sognanti e liberatorie, senza mai essere eccessivamente pedante, ridondante o auto-celebrativo, ma riuscendo a cogliere a pieno, invece, quella che è la fluidità, la velocità e lo spirito di sintesi dei nostri tempi.
“Every Loser” è un disco, tutto sommato, semplice e diretto, non un capolavoro, ma un album che sa dove vuole arrivare, senza incamminarsi su strade troppo intellettuali, sperimentali o criptiche. Il suo obiettivo è, come si evince dal testo del brano “Comments”, dare a chiunque, soprattutto a quelli che, quotidianamente, arrancano e che hanno evidenti difficoltà a seguire l’onda del progresso, la possibilità di conquistare e vivere le proprie gioie, sfuggendo a quella che resta, nonostante le sue conquiste scientifiche e tecnologiche, una società incline a costruire le proprie caste, le proprie élite, le proprie sciocche divisioni interne.
Certo, Iggy Pop è, ormai, un settantacinquenne ricco ed affermato, un personaggio che rischia, costantemente, di trasformarsi nella caricatura di sé stesso, in una statua di cera che viene stritolata dai meccanismi del mondo virtuale che abbiamo sovrapposto a quello reale, ma, nonostante tutto, è divertente sentirlo cantare, nell’incipit “Frenzy”, “got a dick and 2 balls, that’s more than you all“, come se egli si rivolgesse, in particolare, a tutti coloro che si curano solamente delle apparenze, a tutti coloro che sprecano il proprio tempo per denigrarsi, affannarsi, azzannarsi e tentare di imporre la propria volontà sul prossimo. Ed ecco, dunque, che nella lenta ed evocativa “Morning Show” Iggy Pop tocca il tema del confronto con il pubblico, “Neo Punk” rammenta la vibrante e più veritiera epopea punk del passato, “Strung Out Johnny” suona come un modo per liberarsi dagli stereotipi che ci vengono, spesso, costruiti addosso, mentre “The Regency”, infine, ci presenta il mondo per ciò che effettivamente è, senza mistificazioni e falsificazioni, un mondo che è pieno di infiltrazioni velenose, di influenze rabbiose, di pericolose e striscianti ideologie che ci spingono, sempre più, in un malsano stato di furiosa e irragionevole frenesia.
Riusciremo a liberarci?
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