Alcune musiche arrivano a possederci, si insinuano in quei minuscoli spazi esistenti tra i nostri pensieri, si confondono con essi e, ad un certo punto, non riusciamo più a distinguere gli uni e gli altri, finendo per seguire lo scorrere, a volte rapido e lineare, altre volte lento e sinuoso, dei synth e delle trame elettroniche che, anche quando sono più torbide ed oscure, ci danno sempre la fondamentale sensazione di non essere soli.
Il cielo può essere cupo quanto vuole, la tempesta può essere implacabile quanto vuole, ma ora abbiamo l’assoluta certezza che qualcun altro si trova nelle nostre medesime condizioni e la musica, questa musica, può fornirci il mezzo attraverso cui comunicare e scambiarci le nostre impressioni, le nostre emozioni, i nostri stati d’animo. In un certo senso, quindi, abbiamo vinto ed oltrepassato l’assenza, siamo riusciti a raccordare il dentro ed il fuori, il digitale e l’analogico, il virtuale ed il reale, sfuggendo al buio profondo, ma anche dall’altrettanto accecante luce, perché il mondo con cui interagiamo è un mondo di tonalità diverse, di grigi più o meno calcati, di molteplici prospettive, di differenze e di comportamenti imprevedibili che possiamo ritrovare nelle sovrapposizioni e nelle trame sintetiche, ambientali e di matrice jazzistica di questo disco e delle cinque parti che lo compongono.
Una rappresentazione sonora dell’assenza e del conseguente smarrimento che, alla fine, trasforma ogni angoscia individuale, sia essa quella di Lucio Leonardi oppure quella di un qualsiasi ascoltatore, in un crepuscolo musicale sperimentale nel quale la concretezza e la spiritualità coesistono sul medesimo accattivante e salvifico piano estetico, perché solo la bellezza, la vera bellezza, quella che trascende i meri e superficiali aspetti esteriori, corporei e materiali, alla fine, può aiutarci a diradare la nebbia di un doloroso abbandono.
Comments are closed.