“II”, il secondo disco degli Snowchild, è una magmatica ed energica pozione a base di sonorità sludge metal, heavy blues, spaziali e psichedeliche che alternano passaggi più cupi, minacciosi ed ipnotici ad altri che, invece, sono più selvaggi, tempestosi e spavaldi. Entrambi, però, riescono a stimolare e suscitare, sullo schermo ormai solitamente austero e prevedibile dei nostri pensieri, visioni e prospettive assolutamente fantasiose.
L’album, infatti, pur rientrando in uno schema sonoro psych-space abbastanza familiare, genuino, accattivante e consolidato, viene percepito, dal nostro io più puro, irrequieto e profondo, come una salvifica fuga policromatica da quella dimensione virtuale nella quale ogni cosa è, apparentemente, fluida, opinabile, temporanea, transitoria, precaria, tranne, ovviamente, il fatto di non poter deviare rispetto a quel cammino prestabilito che algoritmi sofisticati di manipolazione, sempre più invasivi e ingerenti, costruiscono per noi.
Infatti, anche nei loro passaggi più oscuri, quelli nei quali le chitarre sono più nervose e distorte, oppure in quelli nei quali i synth creano atmosfere più morbide, ambientali e riflessive, di matrice progressive-rock, talmente accoglienti da poter contenere un intero decennio, magico ed eternamente vivido, come gli anni Settanta, nel loro grembo, gli Snowchild restano fedeli a quella che è la loro epica missione: liberare l’immaginazione, farci uscire dalla ferrea, omologante e ripetitiva stretta del gelido, accecante ed abbagliante inverno di codici, software, byte e tecnologia, rimettendo, al centro della narrazione umana e musicale, quelle che sono le nostre individualità, le nostre differenze, le nostre difficoltà, i nostri sogni e le nostre passioni passioni. Elementi che, sempre più spesso, non trovano spazio nel mondo globale dei consumi estenuanti e delle apparenze perfette, un mondo dove tutto ciò che è conforme a degli schemi politicamente sterilizzati di pensiero e comportamento è buono e giusto, mentre tutto il resto – comprese le nostre naturali mancanze e fragilità – è cattivo e sbagliato.
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