Sono, oramai, cento anni che la salma di Vladimir Lenin viene, periodicamente, sottoposta ad un bagno chimico di glicerolo e di acetato di potassio, allo scopo di preservarla dal decadimento temporale, da qualsiasi fenomeno distruttivo o degenerativo e soprattutto per far sì che il suo aspetto esteriore restasse, il più possibile, quello di un uomo ancora in vita.
Una debolezza, quella della morte, che, per l’eroe della Rivoluzione, era inaccettabile; di conseguenza non andava solamente preservato il suo pensiero politico, non andava solamente conservata la memoria delle sue gesta, ma era assolutamente necessario avere un corpo da trasformare in un idolo di perenne venerazione, conservato in un luogo di culto laico, che come gli antichi templi greci o le nostre chiese, diventasse fonte di ispirazione, nonché di esaltazione e di sublimazione del nuovo sistema di potere che da quella rivoluzione aveva avuto origine.
“The Chemical Bath” dona una consistenza sonora incisiva, claustrofobica e turbolenta, intrisa di sonorità di matrice noise-rock, post-hardcore, metallica e lisergica, al processo fisico, chimico e materiale – ma, allo stesso tempo, anche ideologico – che ha portato alla realizzazione pratica del simulacro, liberando l’individuo di tutte le sue fragilità umane e riconsegnandolo sotto forma di mito, proprio come se si trattasse di un nuovo Achille o di un novello Odisseo. Un’operazione che, nel secolo scorso, di forte contrapposizione ideologica, aveva anche, ovviamente, una sua chiara ed evidente utilità pratica, ma che, oggi, alla luce di un’epoca che distrugge e ricrea, puntualmente, i suoi eroi e che non si aggrappa a nessuna ideologia politica o filosofica, ma per la quale è tutto precario, fluido e temporaneo, viene svuotata di ogni contenuto trascendentale, risultando, di conseguenza, inutile ed assurda.
I Demikhov si sono, letteralmente, immersi in un periodo storico particolarmente oscuro, caratterizzato da morte, guerra, povertà e sofferenza, nel quale la vita, soprattutto quella delle persone più umili ed indifese, diventava qualcosa di sacrificabile. Un fatto che, purtroppo, per certi versi, è ancora attuale: non è vero, infatti, che tutte le vite sono uguali; non è vero che abbiamo tutti, indipendentemente da dove nasciamo, le medesime possibilità; non è vero che possiamo godere tutti dello stesso livello di pace, di benessere, di stabilità e di sicurezza. E le guerre, ahimè, continuano a richiedere il loro contributo di morte, di devastazione, di dolore.
I sei brani che accompagnano la costruzione del celebre mausoleo, quindi, non rappresentano solamente un preciso momento storico, non descrivono solo ciò che avvenne alla morte di Lenin, ma trascendono il tempo e lo spazio, in modo da rivestire di cruda, martellante e minacciosa energia DIY il mondo attuale; un mondo che, sempre più spesso, è anch’esso oggetto di maniacali operazioni di pulizia e di confezionamento. Quante volte, infatti, la verità è stata manipolata, epurata, controllata, sottomessa agli schemi e ai modelli economici neo-liberisti? Quante volte la dimensione virtuale e politicamente corretta delle nostre esistenze, individualiste e materialiste, ha avuto la meglio su quella che è la brutale realtà dei fatti?
“The Chemical Bath”, tutto sommato, non fa altro che usare il passato per mostrarci quanto tossico, moribondo, violento ed ingiusto sia il nostro presente; nel frattempo noi ce ne stiamo tranquilli, chiusi nei nostri mausolei scientifici, mediatici e tecnologici, fingendo di non vedere come l’odio, la rabbia e la follia stanno distruggendo il Creato.
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