La poetica distorta e fuzzeggiante dei Tropical Fuck Storm attraversa quel magico, emozionante, intenso e sperimentale decennio che furono gli anni Settanta per cercare il futuro. Un futuro realizzabile? Un futuro possibile? Un futuro plausibile? Forse sì, forse no, ma non sembra che sia questa, al momento, la cosa che sta più a cuore alla band australiana che, invece, sembra più concentrarsi e preoccuparsi delle sue evocative, suggestive e liberatorie divagazioni sperimentali, percettive e mentali.
Liberatorie perché permettono, sia a loro, che a noi, di perdere di vista, almeno durante l’esecuzione di “1983 (A Merman I Should Turn To Be)”, le competitive, ansiose, assuefacenti e ostili paludi di quotidianità nelle quali sprofondano tutte le nostre passioni e di immaginare, di conseguenza, un altro mondo, un mondo alieno, un mondo puro, un mondo alternativo, un mondo selvatico, un mondo eroico, un mondo hendrixiano; un mondo nel quale le ideologie, i sentimenti, le diverse sensibilità artistiche possano avere ancora un senso, un ruolo politico, una finalità etica ed estetica, soprattutto se fossero in grado di non essere più al servizio delle svariate piattaforme virtuali che condizionano, controllano e manipolano le nostre scelte e quindi le nostre vite.
I Tropical Fuck Storm definiscono i contorni sonori di un sogno, costruiscono i loro accattivanti deliri onirici, comprese le pieghe più psichedeliche ed oscure di “Moonburn”, la cui tensione entra in collisione con le piacevoli ed amorevoli carezze astrali di “The Golden Ratio” e con le ondulazioni sensuali di “Aspirin”, prima di trovare la pace collettiva nei feedback, nelle distorsioni, nelle intemperanze e nei loop di “Ann”, quelli che mettono fine al disco, alla notte, al viaggio, al volo, al presente, proiettando tutte le nostre emozioni, le nostre paure, le nostre percezioni e le nostre necessità più intime e nascoste sui romantici, spensierati e blueseggianti fantasmi del passato che hanno accompagnato “Submersive Behaviour”. Infatti, se non riusciremo a recuperare il romanticismo perduto, se non riusciremo ad essere nuovamente spensierati e desiderosi di dare sfogo al blues crepuscolare e distorto delle nostre anime inquiete, allora, significa che non può esserci più nessun consolo e nessuna speranza per questo minuscolo ammasso di roccia in balia del vuoto cosmico e, quindi, sarà meglio, per ciascuno di noi, immaginarsi il proprio luminoso, vibrante, lussureggiante e musicale futuro sul pianeta Hendrix.
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