Esistono dimensioni inesplorate, spesso le mettiamo da parte, le respingiamo, le sottovalutiamo, presi, come siamo, dalla frenesia delle nostre vite moderne e tecnologiche, dalla pressione dei nostri impegni e da tutte quelle piccole e grandi competizioni che, crediamo, siano la strada per sentirsi appagati, completi, soddisfatti e, in un certo senso, felici.
Ma esiste la felicità? Questa domanda ci accompagna nel cammino oscuro e darkeggiante, intriso di sonorità metalliche, avanguardiste, cinematiche, visionarie ed ancestrali, che assume la consistenza sonora e meditativa di questo disco: “Gem”, sei brani che ci immergono nell’abisso delle nostre ossessioni, delle nostre fobie e delle forze caotiche che, senza che ce ne rendiamo conto, determinano quelli che poi saranno i nostri sentimenti e i nostri stati emotivi più superficiali.
Se sapessimo, davvero, come siamo fatti dentro, com’è il mondo interiore, allora, forse, potremmo comprendere meglio anche quello esteriore, potremmo renderci davvero conto di tutto quello che abbiamo attorno e che, erroneamente, consideriamo un a semplice e inerme appendice dei nostri bisogni, delle nostre necessità, di quel cieco e omologante materialismo che ci immobilizza e ci impedisce di pensare, di creare, di conoscere, di dialogare, di scambiare e soprattutto di percepire tutte le voci, i sussurri, i respiri, i segnali, i messaggi che ci giungono da Ade e Persefone.
Ed intanto la musica assume un aspetto tetro e romantico, ci ritroviamo a cogliere fiori di Asfodelo in un luogo che non appartiene ad alcun tempo, a nessuna geografia fisica, a nessuna ideologia umana, a nessuna filosofia politica, a nessun meccanismo industriale, un luogo etereo nel quale le ombre hanno una valenza sonora, ci parlano attraverso la musica, vibrano seguendo invisibili e malinconiche trame post-rock, mescolando le proprie storie con le nostre passioni e le nostre fantasie, con le chitarre dolenti, con le ritmiche profonde e soprattutto con le linee vocali che pian, piano si trasformano in un rituale mistico, laico e liberatorio che evade da qualsiasi modello culturale, sociale o religioso preconfezionato ad arte e ci sprona ad abbracciare ed essere tutt’uno con il bosco sacro, con i suoi equilibri, con i suoi fantasmi, con i suoi cicli di morte e di rinascita, con le sue tavolozze cromatiche ed emotive, con la sua furia e la sua lentezza, senza aver timore di essere giudicati male, di non essere abbastanza pratici e concreti, ma con la consapevolezza di esser parte di una verità che ridefinisce ogni confine, ogni teoria, ogni nostro potenziale.
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