I Dot Dash ritornano con le loro melodie compatte ed incisive, piene di echi punk-rock e new wave, che ci riportano ad un’epoca spensierata, lo-fi e DIY nella quale la sfrontatezza dei suoni aveva decisamente la meglio su quella perfezione stilistica e formale che, invece, caratterizza la musica del presente, sempre più avvinghiata ad un unico modello a base di auto-tune, piattaforme social, pensiero dominante e un vacuo buonismo che non ha assolutamente nulla a che vedere con quelle che, una volta, erano lotte di libertà e di rivendicazione dei propri diritti. Libertà, oggi, invece, è una parola vuota, iper-abusata, che è, spesso, utilizzata da una generazione di artisti, giovani uomini e giovani donne, che, in realtà, sono già morti
“Madman In The Rain” ha la capacità di sintetizzare epoche e mondi sonori diversi, senza perdere l’entusiasmo di chi vuole vivere a pieno il suo presente, guardando la strada e le possibilità che ha davanti, piuttosto che limitarsi a sopravvivere in un comodo rifugio jangle-pop, che, per quanto comodo e rassicurante, è pur sempre qualcosa di trascorso. Meglio, dunque, utilizzare queste esperienze e narrazioni passate per sfidare il presente, insinuando dubbi laddove i giudizi dei così detti esperti del settore, le teorie virtuali degli influencer e le strategie di marketing dei famelici giganti mediatici globali ci dicono che va bene così, che siamo del tutto conformi rispetto all’estetismo di facciata con il quale ci convinciamo di poter nascondere ogni stortura, ogni spigolosità, ogni ombra.
I Dot Dash propongono, invece, un mix sonoro basato, soprattutto, sull’elettricità e sulle emozioni, quelle vere, quelle instabili, quelle caotiche, rendendole – di volta in volta – più crude, più taglienti, più feroci o più affascinanti dal punto di vista melodico, in modo da rappresentare noi stessi e il mondo che ci circonda e di cui dobbiamo essere parte attiva per come realmente è, non per come è rappresentano in rete o per come è elaborato da tutti quegli algoritmi che tentano di manipolare le nostre scelte e le nostre decisioni. Vivere il proprio tempo e il proprio spazio come se essi fossero elastici, muoversi non su una semplice linea, percorrendola obbligatoriamente in un unico senso, ma procedere continuamente in avanti e indietro e in tutte le innumerevoli e indefinite direzioni che esistono e sono a nostra completa disposizione o che non ancora sono state scoperte, intuite, create. Ed, allora, perché non potremmo essere proprio noi a farlo?
Certo, è un rischio, ma solo se si ha un vero cuore si rischia qualcosa, altrimenti si è già finiti.
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