Gli Orbital, tra rave e nostalgia, campionatori e sonorità acid-house, una visione più innocente del mondo e festival techno ormai leggendari, ci permettono di non perdere la connessione emotiva e spirituale con l’anima elettronica degli anni Novanta. Un’anima che, però, anche nella loro musica, ha trovato la sua naturale, necessaria e accattivante evoluzione, riuscendo, di conseguenza, ad avvolgere e catturare nuove generazioni di ascoltatori.
“Optical Delusion” si insinua negli angoli oscuri della nostra psiche, tocca con mano gli effetti più intimi del dolore, della malattia, della paura di non farcela, dei lockdown e della attuale fase di ripresa post-pandemica. Un processo che, però, più che essere una vera e propria rinascita – come ipocritamente annunciato ai quattro venti da politici ed istituzioni – rischia di essere solamente la riesumazione del peggio; ed intanto zombi sonori, intrisi di nichilismo punk e di ritmiche sintetiche, ci sbattono in faccia, senza alcun subdolo ed accondiscendente filtro mediatico, tutto quello a cui abbiamo rinunciato, non serve adesso tentare di trovare colpevoli altrove. Fuori dalle nostre case, nelle periferie delle nostre città, oltre la Manica, dall’altra parte del Mar Mediterraneo, ovunque, purché non dentro di noi, nelle nostre fobie, nelle nostre frustrazioni, nella facilità con cui abbiamo accettato i vantaggi e i compromessi che ci sono stati offerti da un sistema sovranazionale di potere che non esita a risvegliare gli incubi più nefasti del nostro passato, pur di garantirsi la propria continuità e il proprio dominio sulle nostre, sempre più maniacali ed alienate, esistenze.
Ed è per questo che gli Orbital ci propongono un percorso salvifico di contaminazione: gli Sleaford Mods della incisiva e penetrante “Dirty Rat”, la vulnerabile e preziosa fragilità cantata da Anna B Savage in “Home”, la dimensione extra-corporea invocata da Dina Ipavic in “Day One”, i Penelope Isles che ci spronano ad affrontare i nostri fantasmi quotidiani in “Are You Alive?”, danno, appunto, consistenza sonora al nostra sano bisogno di stringere rapporti, di creare relazioni, di coltivare sentimenti, di costruire narrazioni che siano collettive, per non trovarci soli – in una landa arida, ostile ed avvelenata- quando “Requiem For The Pre-Apocalypse” ci rammenterà che è giunto il momento di fare i conti con noi stessi, con la realtà che abbiamo contribuito a creare, con il mondo che stiamo lasciando alle nuove generazioni, con il presente che abbiamo costruito.
Riusciremo a liberarci da quelle catene virtuali che ci obbligano a vedere solamente ciò che ci piace e ci fa comodo, costringendoci, nei fatti, a consumare/sprecare il nostro tempo in delle illusioni fallaci che ci manipolano, ci narcotizzano e ci trasformano in creature sempre più arrabbiate, abiette, violente e solitarie? Ce la faremo?
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