La dimensione che gli Stain hanno celebrato, nel primo dei due lavori che costituiscono il progetto musicale “Kindergarten”, era quella di un rifugio nel quale ritrovarsi e ritornare, finalmente, ad essere inoffensivi, liberandoci, in pratica, da tutte le ansie e da tutte le frustrazioni che ci tenevano in un perenne stato di agitazione, di nevrosi e di competizione, obbligandoci a vedere nel prossimo, chiunque egli fosse, il rivale, il nemico, l’avversario, l’ostacolo che metteva in pericolo il nostro successo, il nostro equilibrio e il nostro futuro.
In questo spazio primordiale potevamo riassaporare la purezza dell’infanzia, di un mondo di trame indie-rock, di altalene, di policromie melodiche e di castelli di sabbia nel quel venivano meno tutte le sovrastrutture artificiali che ci impedivano di ricordare come si fa a curare sé stessi, curando, in primis, gli altri, mediante il fondamentale e prezioso riconoscimento della loro umanità. Non più nemici, dunque, non più rivali, non più avversari, non più ostacoli, ma imprescindibili compagni di viaggio, di un viaggio che, ora, assume l’essenza di questi sei brani.
Una volta guariti, infatti, questo secondo disco apre le porte del cortile sonico al mondo esterno, alla sua complessità, alle sue contraddizioni, alle sue ingiustizie, ai suoi tormenti e alle sue fobie. Tutto ciò si contrappone, ovviamente, alle atmosfere più giocose, più leggere e più spensierate che avevano caratterizzato il primo lavoro. Normale, dunque, sentirsi smarriti o confusi, normale avere domande alle quali è impossibile fornire una risposta certa, normale tentare di costruire, nuovamente, le proprie barriere individuali, ma adesso sappiamo benissimo che esse dovranno essere, necessariamente, abbattute, anche a costo di sofferenze e di delusioni, di perdite e di addii.
Non possiamo restare, per sempre, chiusi in un compiacente micro-cosmo di cartone, ma è indispensabile confrontarsi, imparare, comprendere e conoscere, in un processo di cambiamento e di rivelazione che è continuo, avvolgente e stimolante e che assume la consistenza sonora dei cambi di ritmo del disco, dell’alternarsi dei suoi passaggi più esplosivi e di quelli più riflessi, dei suoi momenti di buio e di luce, mentre le nostre esperienze passate e le nostre aspirazioni future danno vita ad una narrazione musicale ed umana perennemente vivida ed attuale, nella quale la voce del bambino esprime le speranze e i ricordi dell’adulto. Intanto le immagini sbiadite e in chiaroscuro del sogno, in bilico tra realtà e fantasia, tra un malinconico passato e un inafferrabile futuro, si incuneano, come un rassicurante raggio di sole, negli angoli più nascosti di quello che è ancora una volta lo spazio atemporale di un cortile, il nostro fragile cortile interiore.
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