No, non è una mera questione di romanticismo e di cuori spezzati, ma sono, più che altro, ossa rotte, nervi tesi, momenti di nuda inquietudine ed ombre, ombre dotate di zanne e di artigli affilati, ombre in attesa di nutrirsi delle nostre difficoltà, reali o immaginarie, e delle nostre iperboliche ansie da prestazione. Ciò fa sì che le trame indie-rock di Kaery Ann assumano una veste oscura, si contrappongano alla competitiva ed asfissiante routine quotidiana, tentando di esorcizzare tutte le sofferenze e le tensioni accumulate, attraverso nove canzoni che alternano passaggi più intimi, morbidi e riflessivi, ad altri che, invece, si aprono su orizzonti cantautoriali intrisi di sonorità anni Novanta che attingono, a piene mani, alla poetica grunge.
Il tutto potrebbe apparire come il risultato di una formula ben nota e collaudata, ma in realtà l’artista italiana con le sue parole cadenzate, con l’alternarsi di parti più alte ed altre quasi sussurrate, con le sue atmosfere sospese e crepuscolari, con la dimensione introspettiva e lisergica di quei momenti che assumono la vibrante consistenza sonica di confessioni laiche, con le chitarre che si liberano di ogni limitante riferimento spaziale e temporale, riesce a dare voce alla propria, peculiare dimensione emotiva, umana ed artistica.
Una dimensione di disegni verbali e musicali che oltrepassano i cliché artificiali e materialistici delle nostre esistenze virtuali e che – fondendo elementi eterogenei di derivazione dream-pop, shoegaze e alternative-folk – mette le proprie esperienze personali, anche quelle più dolorose, a disposizione di un viaggio che vuole superare i confini delle proprie visioni individualiste e diventare una sorta di risveglio solidale e collettivo, un argine contro la vulnerabilità che può avere forza solamente se ciascuno di noi riesce ad affrontare le proprie paure e comprendere che esistono altri orizzonti ed altre prospettive al di là di quelle che sono sempre state le sue ossessionanti e granitiche certezze.
“Songs Of Grace And Ruin”, quindi, assume la consistenza sonora di una auto-indagine spirituale alla ricerca della propria identità, tra domande senza risposta e stratificazioni informatiche e tecnologiche che tendono ad appiattirci, ad omologarci, a condizionarci, a cancellare il nostro spirito critico. E se tutto ciò rappresenta, ovviamente, la nostra rovina, sia come singoli individui, che come società, la grazia è ciò che, invece, permette alla nostra anima, intesa come psiche e sentimento, di essere redenta, recuperando il rapporto tra cosciente ed inconscio, anche aggrappandosi a simboli, a sensazioni, a percezioni, come, appunto, quelle musicali, che scavano nella profondità dell’io e ci fanno sentire, allo stesso tempo, appagati e soddisfatti, ma anche parte di un’idea, di un progetto, di un’essenza, di un universo superiore.
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