Che cosa siamo? Perché oggi, nell’epoca della tecno-scienza, ci sentiamo così disorientati? Che ne è stato di quelle costellazioni di ideali e di valori che ci aiutavano a dare un senso alle nostre opache esistenze?
Un tempo, l’oracolo di Apollo a Delfi, diretta emanazione della voce e della volontà delle divinità, ci rammentava, costantemente, di conoscere noi stessi, di scavare, a fondo, nei meandri più oscuri delle nostre coscienze, laddove si cela il volto più selvaggio, puro ed ancestrale dell’umanità, per tentare di comprendere, appunto, cosa siamo e perché ci sono momenti, giorni, anni, epoche nelle quali ci sentiamo del tutto impotenti, mentre il gelido soffio della solitudine e dell’alienazione riverbera tra i nostri pensieri silenziosi.
Solo la musica e le altre arti possono riportare la luce e il calore, proprio come avvenne in principio, quando Prometeo rubò ad Efesto il fuoco e fornì agli esseri umani qualcosa che potesse far loro compagnia durante la notte, offrendo ristoro e aiutandoli a non smarrirsi più e a sfuggire, di conseguenza, al vorace e famelico mondo delle ombre.
Ed in effetti è un uomo delle ombre, un’essenza virtuale imprigionata nelle ossessioni platoniche della arrogante tecno-scienza, senza più alcuna reale e veritiera connessione con la natura profonda della Terra, senza più alcun ideale, alcuna morale, alcun riferimento, per il quale è tutto relativo, è tutto precario, è tutto temporaneo, la creatura che prende forma tra le trame blueseggianti ed elettro-acustiche di “Crawling Wails”, mentre i lamenti striscianti per questa sua triste e malinconica condizione trovano un momentaneo sollievo nelle immagini confortanti di un amplificatore, di una radio a cassette, di una tastiera, di antichi dispositivi analogici che entrano, immediatamente, in sintonia con quelle che sono le nostre misteriose onde emotive.
Onde emotive ed onde acustiche, in fase costruttiva tra loro, compaiono, magicamente, sullo schermo di un televisore Telefunken, un oggetto dei tempi andati che, assieme alle valigie consumate e al legno vissuto del palco, ci rammentano quello che eravamo, i profumi e i sapori ai quali abbiamo rinunciato, i luoghi che abbiamo abbandonato, le persone che abbiamo perduto e soprattutto quella preziosa dimensione di sentimenti genuini ed innocenti che chissà, adesso, dove sono andati a finire. Forse sono lì, dietro la nebbia avvolgente nella quale si perde lo sguardo di Spookyman e che risucchia anche il nostro sguardo moderno ed iper-tecnologico, mentre varchiamo le soglie di un reame digitale, fasullo ed estraniante, e diventiamo semplici copie di un modello, di uno schema, di un automa, identico a tanti altri miliardi di automi, schemi o modelli, senza nessuna fantasia e nessuna umanità. Ritroveremo il fuoco sacro della creatività? Conosceremo noi stessi?
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