Non essere mai scontato, credere nella propria musica e dedicare ad essa il proprio tempo, soprattutto quando scoperte distruttive e dolorose rischiano di gettarti nell’abisso della sfiducia, dell’auto-commiserazione e della resa. Ed invece no, perché anche le verità più difficili da accettare, possono contribuire a creare panorami ed orizzonti melodici unici, nei quali la sperimentazione, l’elettronica e la capacità di apprendere dai grandi maestri del passato – da Bach a Chopin – diventano la testimonianza di un’energia, di una vitalità, di una dedizione e di un impegno che nessuna malattia potrà mai scalfire.
In fondo siamo esseri umani e in quanto tali siamo fragili, limitati, temporanei, imperfetti e deboli, ma è proprio nel riconoscimento di questa nostra debolezza la nostra più grande forza e cioè il coraggio di abbracciare le avversità e di renderle un momento di riflessione collettiva, una musica – come l’ultimo lavoro “12” – capace di accompagnare il tempo, le persone, le loro battaglie, le loro preziose affermazioni e soprattutto i momenti nei quali esse perdono, si abbattono, si affliggono, si piegano, donando loro, però, la possibilità di non spezzarsi mai e di trasformarsi in un’ultima trama, in un’ultima narrazione, in un ultimo riverbero di synth che si espande e si allontana verso le profondità misteriose della notte.
E nessuna notte sarà solitaria se avremo la possibilità di perderci nelle linee di pianoforte di Ryuichi Sakamoto, di rivivere le sue colonne sonore, di sentirci i protagonisti di vicende eroiche. Il più grande lascito di questo irraggiungibile maestro è stato, infatti, proprio il momento della fine, la capacità di dare un senso musicale persino alla sua morte, permettendo così alla vita di rinnovarsi in un pop elettrico, sintetico e gioioso, avanguardista, innovativo e confortante, consapevole del calore umano di personaggi mitici e leggendari, ma profondamente veri e vicini, come David Bowie o Bernardo Bertolucci.
Una strada cosparsa di idee, di lucide follie, di travagli psichedelici, della visione kraftwerkiana della Yellow Magic Orchestra e della percezione assolutamente anti-convenzionale della musica dotta, che si apriva, continuamente, a divagazioni funkeggianti, hip-hop, synth-wave e popolari, che non impedivano, però, di toccare, con mano, tematiche impegnate e dolorose, come tutto ciò che è stato e ci ha lasciato il secondo conflitto mondiale, come la terribile minaccia rappresentata dall’olocausto atomico, come il pericoloso sfruttamento delle risorse naturali del nostro pianeta, i cambiamenti climatici e l’alterazione di equilibri millenari che ci fanno apparire sempre più pazzi nel voler sfidare le forze invisibili che regolano la vita della nostra Terra.
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