Atmosfere ampie, crepuscolari, rarefatte e riflessive quelle della band romana. Gli Elle attraversano, senza alcun timore, lo specchio che separa la dimensione delle apparenze, delle recriminazioni e del tempo che costringe le persone e le cose ad invecchiare, dalla dimensione, più introspettiva e sfuggente, nella quale gli occhi vedono anche quando sono chiusi, mentre le parole, anche quelle che non sono mai state pronunciate, continuano, imperterrite, ad echeggiare dentro di noi, provocando quelle frane sentimentali, quegli smottamenti sensoriali e quelle improvvise valanghe emotive alle quali il trio contrappone la propria salvifica e liberatoria barriera sonora.
Non tutto, infatti, deve essere necessariamente travolto; non tutto deve necessariamente sprofondare e scomparire per sempre. Il nostro mondo, nonostante la sua opprimente ed invasiva modernità iper-tecnologica, nonostante i suoi rabbiosi, paranoici, deliranti e violenti pregiudizi sociali, razziali, religiosi, economici e politici, contiene ancora immagini, suoni, panorami, pagine, domande, storie, testimonianze e persino paradossi che debbono essere assolutamente salvati.
Perché sono essi, in fondo, a renderci umani, a consentirci di manipolare queste trame elettroniche e sintetiche per costruire quelle che sono delle rappresentazioni collettive, preziose ed ispirate delle verità celate sotto lo strato caotico ed irrazionale di quotidianità e delle forze invisibili che, invece, permeano il mondo naturale ed essenziale che abbiamo attorno, quello che viene catturato dalla narrazione post-rock che dispiega il proprio immaginifico e vibrante filo sonoro attraverso questi nove brani, tentando, contemporaneamente, di catturare la poesia di elementi musicali eterogenei tra loro. Dal trip-hop all’indie-folk, dalle divagazioni più lisergiche e surreali ad un pop melodico e rassicurante che, però, non può sfuggire al tocco artificiale, alienante, nevrotico e digitale della nostra realtà.
Una realtà che, spesso, ci opprime, ci impaurisce, ci terrorizza, convincendoci a chiuderci in noi stessi, ad isolarci nelle nostre città, nei nostri quartieri, nelle nostre case, alternando lo scorrere del tempo e costruendo uno strano e morboso presente, un presente fatto solamente di sicurezze, di maschere, di medicine, di camere stagne che non ammettono nessuna imperfezione, nessuna sbavatura, nessun dubbio, nessuna notte, nessuna ipotesi alternativa di sopravvivenza.
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