Il crudo romanticismo della band irlandese fluttua, come un antico fantasma, sugli sfuggenti e caotici tempi moderni, contrastando, con le sue visioni sognanti, lisergiche e folkeggianti, le sterili ricostruzioni artificiali, assuefacenti e narcotizzanti prodotte, in serie, da algoritmi che diventano sempre più sofisticati e più intelligenti, oltre che sempre più bramosi di insinuarsi – come se fossero micidiali ed invisibili virus – nelle nostre vite e condizionare, di conseguenza, i nostri comportamenti e le nostre scelte, rendendole qualcosa di utile, prevedibile e calcolabile.
Ogni aspetto delle nostre esistenze è, infatti, a rischio ed anche la sfera dei rapporti affettivi più intimi e personali, che in passato consideravamo come qualcosa di rigorosamente privato, è diventata estremamente fragile, in quanto, se da un lato, la tecnologia ci mette a disposizione strumenti che ci consentono di ridurre le distanze e ci permettono, quindi, di mantenerci, quotidianamente, in contatto, dall’altro lato, essa ci getta, letteralmente, addosso una mole enorme di dati, di teorie, di postulati, di conclusioni, di prospettive, di informazioni che, spesso, sono del tutto fallaci e forvianti ed hanno, unicamente, lo scopo di amplificare quelli che sono i nostri dubbi, le nostre paure e le nostre frustrazioni, rendendoci, di conseguenza, più insicuri e facilmente controllabili e manipolabili. Sempre la stessa vecchia storia, dunque, combattuta con armi subdole ed attraenti che mettono a repentaglio la nostra stessa libertà emotiva.
Le trame suadenti delle chitarre e le ritmiche sensuali ed avvolgenti dei Daughter si trasformano in un momento di condivisione che non ha più bisogno di uno stupefacente background digitale per farci sentire – sentimentalmente e spiritualmente – vicini e per costruire una memoria comune, ovvero un prezioso e salvifico archivio di sensazioni, di percezioni, di emozioni, di fatti e di ricordi ai quali possiamo accedere ogni volta che ci sentiamo soli, turbati, addolorati, lontani. Ciò che la band ci offre, però, non è una banale ed inutile fuga sonora dalla realtà, ma un linguaggio sensoriale che non ha più bisogno di riconoscimenti materiali o di conformarsi agli schemi sociali ritenuti vincenti su larga scala.
Un linguaggio che non si piega e non si uniforma alle ristrettive mode del momento o a quelli che sono imposti come i modelli economici e politici di riferimento, ma tenta di mettere in comunicazione le nostre coscienze e i nostri veri bisogni, attraverso lo scorrere suadente e melodicamente accattivante di queste trame di matrice dream-pop e trip-hop che non temono l’oscurità, il silenzio, il senso di vuoto e tutte quelle negatività che restano, perennemente, nell’ombra, in agguato dentro di noi, attendendo il momento propizio per rivelarsi e distruggere tutto quello che di positivo abbiamo realizzato, in particolare quei rapporti d’affetto, d’amicizia e d’amore, che ci fanno sentire unici, speciali, umani.
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