La divina è tornata, con una produzione firmata da Flood e John Parish ed un album – “The Old Year Dying” – che, lei stessa ci dice essere molto diretto e spontaneo, non solo dal punto di vista tecnico, dato che lo studio è stato attrezzato e predisposto per trasmettere le sensazioni e le percezioni di un vero e proprio live, ma soprattutto dal punto di vista emotivo.
Polly Jean ha dato voce a quell’amore primordiale, a quello più puro e sincero, quello che ciascuno di noi custodisce senza parlarne, senza rappresentarlo all’esterno, consapevole del suo peso in termini di tristezza e di rammarico. Il suo sapore è amaro e sarà anche, purtroppo, connesso per sempre alla consapevolezza delle stagioni che si susseguono inesorabilmente, mentre i luoghi che conosciamo mutano irrimediabilmente e le nostre stesse storie, i nostri stessi ricordi, le nostre stesse emozioni assumono nuova consistenza, una nuova forma, un nuovo colore. Come se si trattasse delle nuvole del cielo, per noi irraggiungibili – senza l’utilizzo di sofisticati strumenti esterni – ma non per gli uccelli, siano essi corvi o colombe, buio o luce, le cui ali ne accompagneranno ogni singola parola, ogni nota, ogni pensiero.
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