I Baustelle rovistano nelle giungle metropolitane dei tempi moderni, tra i resti e le macerie di ciò che, una volta, era chiamata poesia e le nuove forme di schiavitù legalizzata, quelle che piacciono tanto sia ai politici di destra, che a quelli di sinistra, sempreché, in un’epoca di bar scadenti, di depressione imperante, di costosi monolocali, di natività zero e di fasulle esistenze virtuali, queste categorie abbiano ancora un valore etico e sociale.
“Elvis” tenta di trasformare la retorica e la decadenza nelle quali sta affogando questo sciagurato paese in un ultimo disperato e malinconico appiglio new-wave, cercando di colmare il vuoto che, solitamente, riempiamo di odio e di mediocrità, con qualcosa di attraente ed illusorio, proponendoci dieci brani di melodie pop-rock che tentano di trovare la giusta alchimia tra una elettronica, leggera e sbarazzina, e quello che è l’approccio onesto, profondo ed affascinante della musica cantautoriale italiana.
Intanto l’estate sta, inesorabilmente, terminando e noi, come creature dannate, tentiamo di trovare quella salvifica via d’uscita che potrebbe evitare la crudele e drammatica metamorfosi negli ectoplasmi radical-chic – politicamente corretti – che governano, sfruttano, violentano, avvelenano e distruggono tutto ciò che di vero, di interessante, di bello, di pericoloso, di appassionante continua a pulsare nella nostra comune storia passata e futura.
Ma, fortunatamente, ci sono luoghi magici, a metà strada tra Milano ed il vostro cuore, nei quali è ancora possibile perdersi, cadere, impazzire, sbagliare, morire e magari risuscitare, alla faccia di tutti i benpensanti, delle zone a traffico limitato e dei licenziamenti per giusta causa, tra queste trame di piano, tra gli echi della intramontabile grandezza del maestro Battiato, tra le sofisticate atmosfere cinematiche e la voglia di rendere “Elvis” un disco diretto, scomodo, sincero, salutare per le nostre coscienze sempre più narcotizzate, avvilite, incattivite ed impaurite.
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