No, non è solamente rabbia. La rabbia diventerebbe, alla fine, utile, soprattutto, agli oscuri signori del male, gli consentirebbe di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica da quello che è il vero nucleo corrotto del problema, facendo sì, contemporaneamente, che le persone comuni siano spinte ad accettare una continua e subdola limitazione dei propri diritti civili e delle proprie libertà.
Quella che è la spina dorsale dell’album della band irlandese è, piuttosto, un’amara consapevolezza della nostra realtà, in maniera tale che ad emergere non sia l’egoistica e opportunistica accettazione dello status quo, bensì quello che è, a tutti gli effetti, un indomito ed audace spirito piratesco. Uno spirito che ci esorta a denunciare i torti e le scorrettezze, a disobbedire alla cupa ed inetta arroganza della politica, a rifiutare quegli schemi e quei modelli esistenziali che le multi-nazioni ci propinano, quotidianamente, invadendo i nostri sogni, le nostre idee, i nostri desideri e il nostro futuro.
Certo, il rischio è quello dell’impopolarità, quello dell’antipatia, quello dell’integralismo fine a sé stesso, soprattutto quando con le tue azioni, con i tuoi comportamenti, con le tue parole e con la tua musica tenti di combattere e contrastare quelli che sono i reali e spietati padroni multimediali della nostra società.
Il post-punk delle M(h)aol trasforma i ritornelli melodici in domande spigolose, gonfia ogni parola di cruda ed inquietante ironia, costruendo brevi narrazioni sonore che si abbattono, con entusiasmo e vigore, grazie alle proprie ritmiche minimali, su quegli atteggiamenti che, oggi, come nello scorso secolo, continuano a generare odio, razzismo e violenza, tentando, parallelamente, di minimizzare, giustificare e rendere sfumato lo spazio che separa le vittime dai propri carnefici, come se la sicurezza, la serenità o il rispetto non fossero minacciati da quei comportamenti intolleranti, bestiali ed abietti, ma solamente da quanto tu possa apparire come una stupida puttana.
Un sistema binario assolutamente paternalista e maniacale, nelle mani di pochissimi e frustrati giudici, i quali, con veemente e oppressivo zelo, separano, rigorosamente, ciò che è bianco, buono e corretto da ciò che è nero, cattivo e sbagliato. Ed in quest’ultima categoria trovano, ovviamente, posto i dieci brani di “Attachment Styles”, il loro carico nevrotico, i loro feedback minacciosi, le loro distorsioni punkeggianti, i loro battiti sconnessi, le loro scheletriche linee di basso.
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