Il nuovo album dell’ormai leggendaria band americana è il prodotto di anni difficili, di periodi familiari burrascosi, di estenuanti lotte contro nemici micidiali ed invisibili, di perdite che non potranno mai essere davvero superate (ed è giusto così!) e di malattie che restano, come fantasmi, sullo sfondo delle nostre emozioni e dei nostri pensieri, rendendo, a volte, complicato assaporare quanto di bello e di positivo possa offrirci la vita, in tutte le sue rappresentazioni, tra le quali la musica è, senza alcun dubbio, una di quelle più evocative, più toccanti e più incisive, soprattutto quando essa è in grado di raccordare il dentro e il fuori, la propria intimità con le preziose e necessarie aperture verso il mondo esterno, verso gli altri, verso quel fragile e devastato pianeta che ci ospita e ci offre una casa.
In tal senso “In Times New Roman…” si contrappone al dolore, è agitato da trame stoner rock più oscure e pesanti, tentando di assumere la consistenza di un vero e proprio esorcismo musicale contro tutti i cattivi presagi, tutti i momenti angosciosi, tutte le spinte egocentriche e materialiste che fanno a pezzi le nostre anime blueseggianti.
I dieci brani dell’album acquisiscono, infatti, un sapore amaro e talvolta opprimente, il rock acido assume le sembianze di bagliori improvvisi, per poi trasformarsi un cielo fiammeggiante che evoca atmosfere e mitologie doorsiane. Questo cielo accompagna i nostri passi, passi che non chiedono alcuna salvezza, che non reclamano alcuna giustizia, che non pretendono alcun perdono e, soprattutto, che non rivendicano alcuna vendetta, perché sarebbe del tutto inutile. Passi che, però, cercano, semplicemente, di non rimanere soli, di avere qualcuno con cui condividere le proprie esperienze, le proprie prospettive, ogni silenzio ed ogni frastuono.
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