I nostri giorni sono finiti e non ce ne frega assolutamente nulla, perché siamo fottutamente fuori di testa, assuefatti al nostro sintetico edonismo tecnologico e mediatico e, di conseguenza, a nostro perfetto agio con questa spirale di narrazioni artificiali nella quale le trame taglienti, crude e nevrotiche della band australiana calzano a pennello.
Melodie ipnotiche e tormentate quelle dei Toads, capaci di trovare un equilibrio sorprendente tra atmosfere lo-fi, oscura ironia, una visione realista della politica mondiale e una giocosa vivacità che prende per il culo ciò che pensiamo sia importante, ciò per cui continuiamo a sbatterci, ciò che bramiamo possedere, senza renderci conto che sono solamente trappole per alimentare ansia e psicopatia.
Sarebbe sicuramente più salutare, sbarazzarsene e seguire il ritmo delle danze punkeggianti suggerite da “In The Wilderness”, confidando, tra un assolo e l’altro, che la fine sia indolore, come una semplice interferenza nelle nostre comunicazioni, nelle nostre inutili misurazioni, nelle nostre teorie complottiste, nelle nostre malinconiche e nostalgiche riletture delle epoche passate, quando la new wave era al suo apice, il KGB era l’unico nemico e, per sentirci fighi e assolutamente incompresi, andavamo in giro con una t-shirt dei Television o dei Wire, sicuri che, prima o poi, avremmo pubblicato la migliore canzone di tutti i tempi.
Prima o poi, forse è proprio questo il problema, forse è proprio questo che vogliono indicarci i Toads.
Comments are closed.