Glam rock, in stile anni Settanta, che riporta, romanticamente, al rock’n’roll spavaldo, veloce e genuino di Joan Jett o Suzi Quatro, quello che scuote le anime e i corpi, lasciandoci credere che il mondo sia ancora un luogo nel quale sia possibile scegliere la propria strada o coltivare le proprie passioni, senza che l’autorità costituita non provi a ricondurti ad uno dei modelli economici e sociali previsti, così da poter controllare priorità, comportamenti e soprattutto consumi. E tenerti, alla fine, sfruttando i tuoi naturali bisogni emotivi ed umani, per le palle.
Tutto ciò fa sì che “Dangerous Dame” intrecci le sue trame sonore con il punk-rock, esorcizzando tutte le frustrazioni accumulate e trasformandole in un rock crudo e tagliente che, sarebbe bello, vedere magicamente trasformato in un pesante martello che si abbatte e distrugge ad uno ad uno tutti i divieti, i recinti, i paletti piantati dalle un sistema istituzionale che sotto, sotto, al di là delle frasi di circostanza, nutre un profondo disagio e un antico disprezzo nei confronti di tutti coloro che sanno divertirsi, che si nutrono di vere passioni e che provano un piacere che non è legato al possesso di oggetti materiali da esporre per garantirsi la considerazione degli altri.
Essere sexy, dunque, non è qualcosa che puoi acquistare – magari pagandolo, faticosamente, a rate – né qualcosa che è legato ad aspetti puramente cronologici, chimici, mediatici o estetici. Essere sexy diviene, nella visione artistica, musicale, personale e collettiva della band americana, uno stato spirituale, una dimensione dell’anima che può essere conquistata solamente salvaguardando la propria individualità, i propri sentimenti, le proprie aspirazioni.
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