Quale può essere il sapore del ritorno alla vita? E’ sicuramente simile ad un dolce risveglio, è qualcosa di delicato ed introspettivo, ma, allo stesso tempo, non può non tenere traccia, dentro di sé, di tutte le nubi grigie ed angosciose che riempiono ancora il nostro cielo, a perenne testimonianza di coloro che i sono smarriti e di coloro che ci hanno abbondonato, lasciandoci con un immenso bagaglio di immagini, di voci, di manifesti, di parole senza tempo che, adesso, i Blonde Redhead ricongiungono tra loro in quella che è una vera e propria trasposizione cinematografica della loro musica.
“Snowman” ci porta, immediatamente, al centro della scena, non servono preamboli, non servono premesse, non servono introduzioni, perché, in fondo, è questa la cruda realtà con la quale dobbiamo confrontarci e con la quale dobbiamo misurarci. Ogni cosa può svanire da un momento all’altro ed un nuovo ordine, più ostile, più brutale, più distruttivo, più virale, può invadere, improvvisamente, le nostre quiete giornate.
Una pandemia, una guerra, una crisi economica, un disastro ambientale e la vita – quella che tu hai sempre conosciuto, con i suoi ritmi fissi, con i suoi rassicuranti appuntamenti, con i suoi impegni, le sue assurdità, le sue gioie e le sue delusioni – cambia completamente; e quella frase apparentemente banale e ripetitiva, “sit down for dinner” – quella frase che da il titolo all’album e a due dei suoi brani – inizia a risuonare, condannandoci e torturandoci, nelle nostre menti incredule, dolce ricordo, ma anche insistente minaccia. Eccolo, dunque, il fantasma che non può e che non vuole provare alcuna pietà.
Queste considerazioni plasmano questo nuovo disco, le sue undici tracce ricostruiscono un’altra prospettiva del nostro mondo, delle nostre città, dei nostri caotici spazi urbani, mentre a New York ed altrove un’ombra, gelida e spietata, si insinua nelle stagioni che dovrebbero ricondurci verso una sospirata, agognata e ritrovata normalità.
Ma siamo davvero sicuri che sia tutto vero? Non stiamo nascondendo nulla? Non è che stiamo solamente compiendo un altro, fatale passo verso l’inevitabile fine? Siamo sicuri che domani suoneremo ancora assieme, che ci sarà un altro concerto e magari un altro disco? O le trame suadenti della conclusiva “Via Savona” non sono altro che le melodie astrali e vagabonde che accompagnano il momento del congedo, facendo sì che il sipario di un romantico oblio prenda il sopravvento su ogni nostro pensiero, ogni nostra percezione e ogni nostro sentimento?
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