Noi siamo quelli che ci perdiamo, quelli che dimentichiamo, quelli che fanno promesse, sapendo che si tratta solamente di promesse vane, perché sanno benissimo che non hanno alcuna intenzione di rischiare qualcosa o di mettersi in gioco, poiché hanno troppa, troppa paura degli errori nei quali rischiano di restare intrappolati. Ma cosa saremmo senza quegli errori? Solo degli inutili e banali spettatori. E Motta ce lo lascia intravedere, attraverso le canzoni del suo nuovo disco, “La Musica è Finita”, un disco che segue la linea dei nostri ricordi più intimi e dei nostri sogni dimenticati, tentando di portarci in un luogo nel quale l’aria sia, finalmente, pulita e l’orizzonte non incuta più terrore.
Certo, le sonorità sono quelle del cantautorato italiano, nelle quali, però, si insinuano, con accattivante leggerezza, i suoni dei sintetizzatori, gli echi del passato, le parole semplici, ma assolutamente veritiere, di un uomo che non vuole più essere il nemico, lo straniero, il fantasma, la figura sfocata che si smarrisce nelle sue fobie, nelle sue incertezze, nelle sue caotiche teorie, perché, prima o poi, la musica finisce per davvero ed, allora, arriva il momento nel quale faremo i conti con quei nomi che non abbiamo mai scordato, con quelle giornate che abbiamo continuano a rivivere dentro, per anni ed anni, con i nostri fatidici lunedì e i nostri drammatici titoli di coda.
Tutto il disco è pervaso, quindi, dalla voglia di riprendersi la propria libertà, ma anche dalla difficoltà a riconoscerla ed apprezzarla, una difficoltà che Motta ci sbatte in faccia, nei suoi undici brani, consapevole che questo è uno dei problemi più grandi della nostra epoca e della nostra società. Siamo confusi e, spesso, crediamo di essere liberi, ci convincono di essere liberi, ci fanno credere di essere liberi, ma, in realtà, non stiamo facendo altro che delegare ad altri il controllo delle nostre scelte, delle nostre vite, dei nostri pensieri e delle nostre opinioni, rendendoci complici, purtroppo, di un mondo, di una politica, di un’economia che sono peggiori. Un mondo cattivo a cui possiamo solo contrapporre la bellezza, ma non quella materiale delle cose e dei corpi, bensì quella bellezza che rimprovera ed accarezza, quella di Alice, dei suoi tanti umori, dei suoi momenti bianchi e dei suo momenti neri. Ed, intanto, con la medesima leggerezza, la medesima armonia, le suadenti trame pop e le diverse ed interessanti collaborazioni, giungiamo ad un congedo che, in realtà, si trasforma nella preziosa consapevolezza di un altro ascolto, di un vigoroso ritorno sui propri passi, verso tutto quello a cui avevamo, stupidamente, rinunciato.
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