Chitarra e batteria, l’ultima barriera di passione umana contro la degenerazione violenta dei tempi moderni.
Sono giorni oscuri. Giorni di nuovi, luridi e spietati assassini; giorni di antichi, bellicosi e mai sopiti rigurgiti d’odio e di terrore; giorni insanguinati da missili, bombe e droni che spaccano il cielo; giorni nei quali la morte giunge dal mare, il nostro mare; giorni di occhi che, puntualmente, fingono di guardare altrove, ignorando così il baratro di ingiustizie nel quale sprofondano, scomparendo, per sempre, milioni di esistenze innocenti.
Questo è un buio che inchioda e annichilisce, un buio che ammazza qualsiasi Dio, un buio che irrompe, bramoso, tra le nostre abitudini, nei nostri pensieri, nelle nostre letture, nei nei nostri dischi, nelle nostre serate in compagnia, tentando di corrodere e di corrompere tutto quello che, di buono, abbiamo ancora a nostra disposizione.
Anche questa miscela blueseggiante di rock acido e psichedelico ne rimane, ovviamente, turbata e contaminata, “Next Big Niente” è un lavoro più introspettivo, più ossessivo, più inquieto, rispetto ai suoi predecessori. Ma la voglia di evadere, di esplorare, di viaggiare, di conoscere e di liberarsi dalla maledetta morsa dell’ordinarietà che avvilisce il nostro presente – spingendosi in mondi sonori inesplorati, emotivamente ed intellettivamente fantastici – la sentiamo, forte e presente, dentro di noi, fuori di noi. La percepiamo, nonostante i tanti muri che ci impediscono di vedere cosa accade al di là del nostro bel giardino e del nostro comodo appartamento. Oltre la strada. Oltra la città. Oltre il paese. Oltre il mare.
Il nuovo disco dei Bud Spencer Blues Explosion vira, intanto, verso un’odissea di rock avanguardista, non dimenticando le sue energiche e nevrotiche origini noise-rock, ma lasciando che i profumi di terre lontane, di narrazioni mitiche, di filosofie dimenticate, di civiltà antiche, di atmosfere tribali ed orientali e di riti, che affondano le loro radici nel passato più remoto e misterioso dell’umanità, si diffondano, liberamente – senza alcun limite o confine, né spaziale, né temporale – tra i dieci brani che costituiscono questo album. Forse è proprio in questo mondo ignoto ed ancestrale, tra popoli dimenticati, tra popoli sconfitti, tra popoli cancellati, tra popoli che continuano a parlarci, che dovremmo trovare la sensibilità che abbiamo perduto. Forse è proprio ascoltando questi suoni e queste parole, queste storie e queste umanità, apparentemente diverse, facendole nostre, attualizzandole e proiettandole nel nostro futuro iper-tecnologico e mediatico, che potremo riprenderci la libertà di un mondo fatto di altre bellezze, altre idee, altri sogni, altre musiche, musiche di pace, di integrazione, di ritmo e di contaminazione.
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