Le sperimentazioni e le ricerche del producer Andrea Gamba, ovvero Daykoda, procedono in due direzioni apparentemente contrapposte tra loro, ma che, invece, aspirano a trovare, assaporare e sublimare quell’elemento unitario dal quale ogni cosa, compresa la stessa vita, discende.
Da un lato, infatti, le ampie e ultraterrene trame jazzistiche si muovono verso l’esterno, guardano alle profondità remote del cosmo, ai suoi misteri, alla perfezione delle sue leggi fisiche, al moto reciproco delle galassie, ma poi ritornano alla propria Itaca terrestre, al nostro afflitto, ferito e tormentato pianeta, sintonizzandosi con quella che è la voce della natura, un fragile sussurro, una impetuosa tempesta. Dall’altro lato, invece, esse si proiettano dentro di noi, spingendosi negli angoli più torbidi e volutamente celati delle nostre coscienze, alla ricerca di quei barlumi di sincerità che, spesso, per timore o convenienza, preferiamo non condividere con nessuno.
Tutto ciò rende i dodici brani del disco vivaci ed eterogenei, le divagazioni di matrice più personale e psichedelica e le estrose ambientazioni e contaminazioni elettroniche, amplificano i loro sforzi evocativi: magicamente ci troviamo altrove. In un altrove nel quale realtà e fantasia sono tutt’uno, la luce e il buio coesistono, così come il passato ed il futuro, un altrove pacifico di cui abbiamo perduto memoria. Un altrove che non ha mai conosciuto la guerra, che la mano dell’uomo non ha mai potuto inquinare e che non conosce l’urgenza che attanaglia e corrode le nostre esistenze; un altrove nel quale non esistono idiomi diversi, le parole perdono consistenza, una sillaba dopo l’altra, trasformandosi in vibrazioni universali, in un linguaggio sonoro, armonioso e visionario, che mette in comunicazione emotiva le persone, facendo sì che esse si sentano, davvero, parte di un solo mondo, un solo popolo, una sola specie, una sola storia, una sola umanità.
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