In un mondo, che sembra farsi sempre più divisivo, intransigente, ostile e strutturato in rigorosi ed austeri compartimenti stagni, attraverso i quali è, praticamente, impossibile muoversi liberamente, soprattutto se non si dispone di una consistente quantità di denaro e di protezione, i C’mon Tigre si dedicano all’annullamento di tutte queste distanze irreali – di natura disumana – riportando ogni cosa alla naturale ed amorevole dimensione del viaggio, dello scambio culturale, della conoscenza, delle reciproche contaminazioni e di musiche, apparentemente eterogenee tra loro, le cui radici più profonde sono, invece, radici intimamente ed umanamente comuni.
Ed è così che le ambientazioni e le ritmiche sudamericane conducono la band in luoghi esotici ed incontaminati, in una dimensione onirica, immaginifica, suadente e fantasiosa, nella quale i colori e le atmosfere sonore, diurne e solari, prendono il sopravvento, per poi ricongiungersi pian, piano alle armonie di matrice afro-beat, jazzistica e funkeggiante della notte imminente, nella quale, finalmente, ritroviamo il gusto del focolare comune, della pacifica discussione, della condivisione di esperienze, di eventi e di fatti che contribuiscono a rendere il mondo, i popoli, le nazioni, le persone molto più simili di quanto, invece, vorrebbero farci credere la politica, la religione, l’economia, quelle entità di potere che vogliono solamente approfittare delle nostre insicurezze, delle nostre domande, delle nostre preoccupazioni materiali per rendere ogni luogo un luogo meno sicuro e, soprattutto, per convincerci che la sopravvivenza dei nostri corpi e, in ultimo, delle nostre anime, dipenda, esclusivamente, da loro.
“Habitat”, invece, ci riporta all’essenza più veritiera di un ecosistema che esiste a prescindere ed esiste in modo differente, interferendo e contaminandosi, senza alcun timore e nessuna paura, prosperando proprio in quella diversità che è tipica della world music, quella diversità costruttiva che quelli che si credono i padroni del globo non riescono proprio a comprendere ed accettare.
Dunque, i C’mon Tigre forniscono un background sonoro, estroso e stimolante, alle nostre percezioni più intime, dando vita ad un’odissea preziosa, sperimentale e in continua evoluzione, capace di attraversare tanto i tessuti urbani e metropolitani delle tante megalopoli del mondo moderno, quanto i pochi territori nei quali la natura, le piante e le diverse creature del mondo animale, hanno ancora il sopravvento sugli esseri umani. Onde sonore che rendono simbiotiche la storia, le leggende e le tradizioni delle antiche popolazioni del Brasile e dell’Africa, con gli attuali beat sintetici ed elettronici, facendo sì che le nostre orribili esperienze di vita virtuale, indifferente, egoistica e esclusivamente materialista possano tramutarsi, magicamente, negli improvvisi giardini in cui coltivare i sentimenti dell’amicizia, della famiglia allargata, dell’amore incondizionato, del rispetto, permettendoci, di conseguenza, di ritrovare noi stessi nel contatto con gli altri, con Giovanni Truppi, con Seun Kuti, con Xeni França, con i tanti uomini e le tante donne di buona volontà che non ammettono frontiere o cancelli o muri o porte chiuse sul loro cammino umano e musicale.
Comments are closed.