Ogni suono, ogni rumore, ogni campionamento sintetico, ogni estraniante trama verbale si dissolve, come polvere cosmica, nello spazio profondo delle sonorità ambient ed elettroniche di Actress. Perché, nonostante le nostre temporanee, egocentriche e fantasiose illusioni materiali, noi non siamo destinati a rimanere. Il suo nuovo lavoro, “LXXXVIII”, assume i contorni di un gioco malefico e fottutamente ostile, che, con i suoi loop crudi e le sue drammatiche divagazioni techno, tenta, nonostante i passaggi criptici, caotici ed ossessivi, di illuminare le nostre menti intorpidite ed assuefatte. E, per risvegliarci dal sonno, i tredici brani del disco assumono la consistenza percettiva di un vento gelido, un vento che si insinua dentro di noi, spingendo via tutto quello che pensavamo fosse necessario e che, invece, non era altro che l’ennesimo inganno, l’ennesima menzogna, l’ennesima mossa sbagliata su quella scacchiera spazio-temporale che è la nostra esistenza.
Vi è, dunque, qualcosa di invisibile nelle nostre scelte, nei movimenti che compiamo, nei pensieri che li generano e nelle circostanze nelle quali ci ritroviamo ad interagire, a confrontarci, a rapportarci con le nostre paure, i nostri limiti, le nostre convinzioni arcane. Intanto il producer britannico ingloba, nella sua musica, elementi jazzistici, ritmiche ondulatorie, astrazioni robotiche, che aprono le nostre prospettive ad orizzonti di cui eravamo del tutto ignoti, credendo che bastasse la nostra scienza, la nostra filosofia o la nostra fede a dare una risposta ai nostri dubbi e alle nostre domande. Ed invece non è così, non sappiamo cosa stiamo fissando, non sappiamo cosa stiamo ascoltando, ma sappiamo che dobbiamo muoverci, perché solo il movimento, con tutti i suoi urti, le sue interferenze reciproche, i suoi improvvisi contatti, i suoi cambiamenti di passo, può esserci di conforto.
E si tratta, in pratica, del medesimo cambiamento che percepiamo anche in questo viaggio sonoro, nelle sue voci campionate, nelle sue atmosfere circolari, nella potenza dei suoi algoritmi matematici, nella sua sorprendente capacità di intuire una nuova mossa, nei suoi momenti più introspettivi e riflessivi, ma anche in quelli più ballabili e, persino, in quelli più torbidi, sghembi, taglienti e misteriosi. Sì, stiamo giocando, è il nostro turno, però sappiamo che, in fondo, non è solamente un gioco, non lo è mai stato.
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