Le forme espressive del secolo scorso si sono disciolte, il pop ed il rock si sono, dapprima, liquefatti e, successivamente, si sono vaporizzati, mescolandosi, amalgamandosi e, soprattutto, dando forma a nubi dalla composizione chimica, sensoriale, percettiva, strumentale, melodica e verbale eterogenea. La stessa cosa, in fondo, avviene anche nel tessuto urbano delle nostre evolute metropoli, laddove esseri sconosciuti e apparentemente indaffarati, interagiscono tra loro, a volte in maniera costruttiva, altre volte in modo distruttivo, avvicinandosi ed allontanandosi continuamente, ma mostrando, sempre, una forte volontà a ricercare, ad evolvere, ad emozionarsi, a sfuggire a qualsiasi definizione.
“Steady” da voce al loro coraggio, quello di tutti coloro che si oppongono, con le loro piccole e grandi scelte, alla staticità praticata dalle eminenze oscure che bramano solamente avere il controllo delle nostre esistenze. Questi dieci brani oscillano, dunque, tra caos ed ordine, tra abbandono e speranza, tra libertà e compromesso, tentando di dare una consistenza ed una forma sonora nuova alle proprie trame elettroniche e re-immaginando, contemporaneamente, costruzioni musicali, verbali ed espressive diverse, capaci di scoprire quelli che saranno i nuovi territori estetici, politici, sociali e filosofici nei quali plasmare il pop ed il rock, il dub e l’ambient del nuovo millennio. Una musica sconosciuta, una musica che potesse contenere barlumi improvvisi di passato in un background completamente alternativo, quasi irreale, onirico e, allo stesso tempo, crudo e graffiante, perché, in fondo, nonostante la grandiosità tecnologica acquisita, i fantasmi che minacciano la nostra serenità e la nostra armonia sono sempre gli stessi.
C’è, dunque, una certa dose di inquietudine che si insinua nelle ricerche sonore degli Hyperdawn, un’intersezione dinamica di tempi e di spazi differenti, punti nei quali si contrappongono melodie e rumore, luce ed ombra, linearità e circolarità, ciò che è vero e reale e ciò che, invece, è solamente il frutto nocivo e contorto delle nostre paure. Ogni cosa, però, è destrutturata e utilizzata per provocare, invocare e definire quegli accattivanti cambi ritmici, di timbro e di prospettiva, estranei, rispetto a quella che è la normale forma canzone strofa-ritornello, che conducono, però, il disco verso il congedo finale, l’ominima “Steady”, lisergica, misteriosa ed essenziale.
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