Una magia oscura, un’energia nevrotica di matrice metropolitana, scolpita nei meandri reconditi delle città, in quei luoghi che vivono solamente dopo il tramonto, cercando un ultimo, inutile, blasfemo e tossico appiglio di romanticismo da venerare, nell’illusione effimera che ciascuno possa, prima o poi, realizzare i propri sogni o, molto più probabilmente, i propri incubi.
Ma queste divagazioni oniriche, in realtà, non sono altro che un eterno, disimpegnato e lascivo vagabondare da una pista da ballo all’altra, da un bancone all’altro, da un mito all’altro, da una perdita all’altra, da una storia inventata all’altra, da un acido e sghembo paradiso bowiano all’altro, mentre le atmosfere gotiche di queste dodici canzoni raggiungono il proprio apice, espressivo ed emotivo, quando si scontrano con una cometa pop di archi, di ritornelli e di melodie crude e leggere, il cui obiettivo è mostrarci tutto quello che si nasconde sotto lo strato di conformismo e convenienza, il negativo di cui, sempre più spesso, abbiamo una fottuta paura.
Sono queste le immagini che Lauren Auder lascia penetrare nel suo disco e che noi, ascoltando, lasciamo entrare, di conseguenza, nel nostro subconscio: piccoli, onesti ed innocenti inferni che ci rammentano la spiritualità che abbiamo smarrito, nonché il coraggio che abbiamo esaurito. Di cosa si tratta? Del coraggio che ci spinge a mostrare le nostre ferite, le quali, ogni qual volta vengono fissate, udite, cantate, narrate, toccate, lette o assaporate, guariscono e si illuminano di una luce iridescente, permettendoci così di trovare il varco per nuove ed interessanti dimensioni, divine ed immateriali, nelle quali non siamo più un unico volto, un’unica carne, un’unica mente, un unico sesso, un unico canale di ricezione o trasmissione, un’unica antenna, un’unica voce, un unico istinto, un’unica fede, ma siamo molteplici.
Siamo i molteplici universi racchiusi in un unico, potente, folle, rabbioso ed amorevole seme sonoro; un seme che si espande in paesaggi sonori malinconici ed accattivanti, obliqui e turbolenti, che, però, nonostante tutto, ci appaiono assolutamente intimi e familiari, riuscendo ad entrare in sintonia con ogni nostra singola cellula, ogni fascio nervoso, ogni muscolo, ogni pensiero, ogni desiderio, ogni scelta, ogni incontro, ogni notte trascorsa nel mondo nascosto sotto la superficie effimera della normalità.
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