Cosa siamo, se non un insieme confuso e disordinato di oggetti? Oggetti che desideravamo, a tutti i costi, possedere e che abbiamo, di conseguenza, acquistato; oggetti, che poi ci siamo resi conto, non ci servivano a nulla o non ci piacevano abbastanza; oggetti, che ci avevano davvero stancato e che, allora, abbiamo deciso di buttare via. Oggetti e basta.
Oggetti ingombranti che ci portano via tutto il nostro tempo, oggetti che si prendono ogni spazio e ci impediscono di vedere com’è fatto il fuori, quali sono i veri colori della realtà e delle persone, dei loro sentimenti e delle loro emozioni, i toni caldi e vividi della vita e quelli gelidi ed oscuri della morte. “Bye Bye”, con le sue ritmiche accentuate, le sue sonorità incalzanti, le sue casse energiche e distorte e, soprattutto, la voce cruda e minacciosa di Kim Gordon, arriva dritta al punto, irrompe nelle ferite aperte, le allarga, le intossica, le sferza, le brucia, le invade. Non ha alcuna intenzione di curare o assecondare quelle che sono solamente le nostre assurdità, le follie estenuanti di questo finto progresso. Non ci rimane, dunque, che guarire da soli, altrimenti sarà meglio lasciare che questo mercato ossessivo ci assassini.
Intanto corriamo dietro ad una promessa vana, ad uno sconto, ad un paio di nuovi jeans alla moda, alla fottuta e bramata libertà, credendo che essa dipenda da quanto possiamo spendere, da cosa possiamo comprare, dal fido su cui possiamo contare, da quanta droga ci possiamo fare, da quanti sonniferi prenderemo stanotte, immaginando che qualcosa – un teaser o magari un vibratore – possa tenerci compagnia, possa mantenerci svegli, riesca a farci sentire vivi.
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