In un’epoca nella quale si sprecano, quotidianamente, giudizi inutili e trancianti, può capitare di sentirsi traditi proprio da coloro che pensavi fossero i tuoi amici. I tuoi amici che, improvvisamente, diventano i tuoi killer spietati. Coltelli verbali, accuse feroci, più o meno affilate, che penetrano nel ventre molle delle tue debolezze e delle tue difficoltà e che, spesso, sono solamente un gratuito e paranoico esercizio di manipolazione della verità, di invadente cattiveria e di smania di controllo.
Gli Umbrellas trasformano le conseguenti delusioni in un disco di ironico ottimismo, lasciando che siano le lucenti e passionali vibrazioni delle chitarre e le preziose alternanze vocali a fornirci un valido motivo per abbandonare gli infelici al loro minuscolo e sprezzante destino di folle arroganza e di supponente superbia. Tanto, alla fine, loro non saranno mai in grado di entrare in sintonia con le morbide e suadenti atmosfere di “Echoes”, con la vivace e salvifica nostalgia che ti sprona a coltivare i tuoi affetti, i tuoi interessi, le tue idee, i tuoi giochi infantili, le tue letture e, soprattutto, la tua musica e i tuoi concerti.
Una musica che è in grado di parlarti sia nelle giornate uggiose, che in quelle più soleggiate, che sappia quietare le tue tempeste emotive, che sia il rassicurante conforto, ma anche la nuova sfida da affrontare e che sappia dare spessore a momenti che, normalmente, sono considerati solo un peso insopportabile: le innumerevoli pause ed attese alle quali siamo obbligati, le interminabile code nelle quali veniamo incatenati, le morbose sciocchezze, intrise di tossico buonismo, che siamo costretti ad ascoltare o le bellicose intemperanze virtuali, amplificate dai social media, a qui dobbiamo, colpevolmente, uniformaci. Per tirare avanti, per non essere schedati, per non essere cancellati. Ma tutta questa negatività viene spazzata via, in un colpo solo, dalle improvvise accelerazioni di “Fairweather Friend”, mentre Alice ci apre, finalmente, le porte del suo paese meraviglioso.
Il paese delle energiche vibrazioni di “Goodbye”, il paese delle irruenti danze jangle-pop, il paese della accogliente ballata colorata di “Blue”, il paese in cui tutti possiamo avere un orizzonte alternativo in cui credere e sperare, senza che qualcuno, in nome dei suoi interessi di parte, delle sue assurde prese di posizione e delle sue minacciose convinzioni amicali, non approfitti della nostra libertà per colpirci, colpirci e colpirci ancora.
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