Ho sognato le persone chiuse in casa, quelle che avevano ancora una casa nella quale potersi rinchiudere. Ho sognato governi sovranazionali che seminavano, ovunque, la loro moribonda idea di sicurezza, mentre i cuori gemevano e la terra, nel frattempo, si faceva sempre più arida, sempre più desolata, sempre più tossica, sempre più ostile, sempre più rabbiosa. Ho sognato un esercito di esperti predicare, a reti unificate, la religione dell’isolamento e della diffidenza come unica forma di salvezza e fottersene, allegramente, della salute mentale di quegli ingenui, di quegli sprovveduti, di quei poveri idioti che credevano e si affidavano, anima e corpo, alle loro parole.
Parole che si scontrano con altre parole, parole ibride che evocano fuoco e dolore, sofferenza e potere, parole che risuonano nelle oscurità punkeggianti delle nostre coscienze e si abbattono sui nostri sciocchi egoismi, martellando, con le loro ritmiche crude ed essenziali, con le loro distorsioni veementi ed incalzanti, i nostri frequenti attacchi di panico, le nostre maniacali crisi d’ansia, nonché l’angoscia estenuante che distrugge, quotidianamente, ogni sogno, ogni alternativa, ogni idea, ogni scelta, ogni tentativo di oltrepassare il muro invisibile di odio, misto a paura, che ci tiene, perennemente, in scacco.
Siamo soli e, nella nostra solitudine, il Male diventa sempre più forte, più impavido, più consapevole, più bramoso di sangue. Non ci rimane che seguire le trame metalliche ed i riverberi di questo miscuglio graffiante di struggente elettronica, atmosfere post-industriale e noise-rock. Intrecci sonori senza più alcun conveniente compromesso, senza più l’illusione delle futili promesse, senza più il peso ingombrante di melodie festivaliere, commerciali e radiofoniche, perché il tempo dell’armonia si è disintegrato, quelle coraggiose sonorità grunge si sono intorpidite ed, adesso, è giunto il momento di colpire.
In un mondo senza speranza, in fondo, che altro potremmo fare?
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