Ossigeno, ombre inquietanti, oscillazioni cinematiche, la traccia armonica di una presenza umana nell’oscurità abissale e profonda, solamente grazie al contatto e alla connessione sonora, solamente grazie al propagarsi fisico delle onde acustiche in una dimensione crepuscolare e remota, attraente e minacciosa, intima e travagliata, onirica e, allo stesso tempo, cruda, spietata e pericolosamente e dannatamente reale.
Una presenza che assume la consistenza dei dieci brani del nuovo album dei Pinhdar, canzoni incastonate tra l’ambient elettronico e il trip-hop, mentre i riverberi delle stagioni trascorse e mai dimenticate, dell’innocenza, avventata e sfrontata, degli anni Novanta, si propaga nelle acque gelide, increspate, torbide ed avvelenate del nostro presente, un tempo che si è, oramai, sottomesso e piegato all’idea che il futuro debba, necessariamente, essere sempre più ostile, sempre più bellicoso, sempre più violento e, soprattutto, sempre più impegnato a piegare le prodigiose conquiste della tecnologia ad una visione dispotica della politica, dell’economia, della società, del lavoro, della giustizia, della religione e dei rapporti umani.
La voce di Cecilia Mirandoli è la voce fragile di coloro che respingono questo unico e vorace orizzonte, è la voce di una preghiera laica nella quale riporre e conservare le fragili speranze di un’umanità senza più una vera casa, di un’umanità costretta a vagare sulle rive, inospitali ed abiette, di un fiume infernale, di un’umanità incapace ad attraversarlo e, contemporaneamente, incapace a tornare indietro. Un’umanità talmente debole ed arrendevole da affidarsi a nuove ed antiche idee di supremazia e di potere, nel nome di messia-assassini che si muovono, con disarmante naturalezza, tra le trame, fosche e malinconiche, disegnate dal duo milanese sulla tela di “A Sparkle On The Dark Water”. Trame che, in fondo, al di là del loro contenuto immaginifico e fantasioso, descrivono e definiscono, a livello sensoriale e sentimentale, la nostra attualità e le nostre attuali percezioni.
Ma siamo ancora umani, è questo il messaggio che risuona nelle progressioni melodiche, tra le atmosfere darkeggianti e sintetiche, nelle singole linee di chitarra, nelle aperture più strumentali o nei paesaggi estrosi che prendono forma dinanzi ai nostri occhi: piccole isole, strappate ad enormi e tempestose distese oceaniche, nelle quali ciascun ascoltatore può riversare le proprie emozioni, i propri ricordi, i propri tormenti e le proprie aspirazioni, confidando nel fatto che le veementi e coraggiose onde new-wave riescano a condurli altrove, magari su un’altra isola, ugualmente dispersa, ugualmente tenace, ugualmente in lotta per la propria pregiata sopravvivenza, ugualmente desiderosa di comunicare, di chiedere, di ascoltare, di conoscere, di costruire e, soprattutto, di non sprofondare in un’unica, nefasta e distruttiva, visione del mondo.
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