Il cavallo bianco cosmo-tronico è, finalmente, giunto anche nei club, con una forza assolutamente dirompente e coinvolgente, che trasformerà ogni esibizione, come è accaduto per quella partenopea di ieri sera, in una creatura vivente. Il concerto, infatti, assume la consistenza di un enorme organismo, che fa della musica e della danza i propri sensi, i canali inclusivi con i quali questo essere fantastico può entrare in contatto con il mondo esterno, filtrandone tutte le brutture, le inutili violenze, gli atti di gratuita e spietata ferocia, oltre che ogni eccesso di folle materialismo, così da restituire, a ciascun ascoltatore, una prospettiva ed una visione, più positive e fiduciose, della nostra realtà.
Non siamo qui perché dobbiamo produrre qualcosa, sottolinea l’artista eporediese al pubblico presente nella Casa della Musica Federico I, noi siamo qui perché ci unisce il filo invisibile dell’aggregazione, della socialità e, soprattutto, delle emozioni disinteressate. Un filo condiviso e collettivo che resiste a qualsiasi caduta, a qualsiasi intoppo, a qualsiasi pausa inattesa o arresto obbligato; un filo in grado di squarciare il buio del dolore e delle sofferenze umane e di farci sentire, finalmente, liberi, veri, vivi. E si tratta di una vitalità che supera la schiavitù della tecnologia, l’invadenza delle reti social e gli schermi luminosi dei nostri potenti ed evoluti smartphone. Almeno per la durata del concerto, possiamo riprenderci il diritto di essere noi stessi, di saltare e di ballare, di sfiorarci e di toccarci, di osservare il palco, gli artisti, i giochi di luci, le ali del cavallo bianco, noi stessi e gli altri, attraverso i nostri occhi, senza alcuna manipolazione, alcun intervento, alcuna interferenza, senza alcuna ingerenza non richiesta.
Una formula che, alla fine, si è dimostrata vincente, perché l’energia umana non è finita tra i chip elettronici di ultima generazione dei telefoni, ma si è diffusa nella sala, dal bar al palco, in un’atmosfera amorevole e festosa, senza indebolimenti o dispersioni, facendo sì che le trame elettroniche, le ritmiche incalzanti da festino rave, la sensibilità cantautoriale dei singoli brani proposti, sia dall’ultimo album, che da quelli precedenti, divenissero un unico corpo danzante, fatto, a sua volta, da tanti, altri singoli corpi. Corpi, apparentemente diversi tra loro, ciascuno con la propria storia, con le proprie esperienze, con i propri angoli più luminosi e più oscuri, ma tutti sintonizzati e proiettati su un unico, fondamentale obiettivo, quello di vincere la paura e di poter esprimere e rivendicare, liberamente, il proprio essere, i propri diritti, le proprie idee e la propria sessualità, senza essere, necessariamente, colpevolizzati, vessati, mal giudicati e, di conseguenza, marginalizzati ed estromessi da quelli che sono i circuiti del potere reale.
Perché, in fondo, questo mondo sta andando, letteralmente, a puttane? Perché, spesso, molto spesso, coloro che prendono le decisioni, coloro che controllano l’economia e la politica, la giustizia e la legalità, sono fortemente repressi, soffocati e schiacciati; dovrebbero essere curati, dovrebbero essere salvati da quelle voci maligne che sussurrano loro di un mondo, rabbioso ed ostile, nel quale l’unica forma di democrazia, di libertà o di amore possibile è quella concepita dal più ricco e dal più potente, con l’assurda e mortale convinzione che ogni cosa, alla fine, si può ridurre a quante armi, quante munizioni, quanti droni, quanti missili o quante bombe, tu hai prodotto e conservato ed, adesso, sei disposto ad usare contro quelli che credi essere i tuoi nemici.
Un dottore, dunque, chiamate un dottore…
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