Il ritorno dei Libertines è salutato dai missili e dalle bombe, dai bambini soldato, dalle voci inascoltate delle persone comuni, dalle loro sofferenze, dai vessilli laceri del peggiore Novecento, dalle sue terribili e sanguinose guerre mondiali e da tutti i conflitti regionali, spesso ignorati, taciuti, nascosti e, colpevolmente e subdolamente, tollerati. I Libertines vivono e suonano la loro musica in questa ferita perennemente aperta, parlano a quella parte della società che resta in apnea, sospesa e marginalizzata; un tempo l’avremmo definita working-class, ma, oggi, in un’epoca nella quale il lavoro è solamente merce di scambio globalizzata e non esistono né tutele, né accordi, né solidarietà, anche questa parola suona come desueta, arcaica, connessa ad un passato remoto, del quale arriviamo, persino, a dubitare dell’esistenza.
Eppure, un tempo, esisteva il punk-rock, eppure un tempo la gente si incazzava davvero, eppure un tempo esistevano uomini e donne che ci mettevano la faccia, adesso è solamente una questione di apparenze, di immagini accattivanti, di storie virtuali, qualsiasi cosa pur di tenerci lontani dalla triste realtà, dal sangue si riversa nel Mar Nero, nel Mar Mediterraneo, nel Golfo Persico, lasciando che siano sempre i più deboli – i prigionieri politici di Gaza City, i migranti, le famiglie, i bambini – a morire nel nome della follia di un tiranno, di un despota, di un pazzo che pretende di agire nel nome della democrazia o della libertà o della nazione o del popolo o di Dio.
Ma è solo una farsa, è solamente la solita millenaria ipocrisia umana, e così la band inglese si avvicina alle trame oscure e ballabili di un romanticismo crudo e periferico, che, nota dopo nota, uccide ogni idea, ogni pensiero, ogni sentimento, lasciandoci soli, ad assistere al funerale del brit-pop, dell’Inghilterra, dell’Europa, dell’umanità, del sole, mentre, nel frattempo, i cigni di Tchaikovsky si abbandonano al loro ultimo volo per giungere, alla fine del viaggio, nella terra promessa dell’indie-rock, delle atmosfere tentacolari e radiofoniche di un club underground e delle linee morbide, melodiche e sensuali del free-jazz, dove li attende, con un sorriso complice e fatale, Nico, la loro unica musa.
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