Hayao Miyazaki, Conan, il nostro futuro e, soprattutto, una concezione apocalittica e distopica dell’umanità di domani. Una concezione che continua ad intrecciarsi con il nostro peggiore passato, mentre ripetiamo, ciclicamente, i medesimi errori. Errori che rispondono al nome di sopraffazione, di violenza, di armamenti, di superbia, di razzismo, di distruzione, di sfruttamento, di guerra e, purtroppo, di morte. Ed intanto il pianeta è costretto ad adattarsi, a trasformarsi e a cambiare i propri ritmi naturali, a causa delle alterazioni aggressive, irruente e caotiche provocate dalle scelte, dagli atteggiamenti e dai comportamenti umani.
Nelle immagini dell’autore giapponese c’è l’ombra reale, veritiera e persistente delle bombe atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki; il terribile fungo atomico apre le porte ad un futuro di precarietà e di degrado, nel quale i più fragili e i più deboli sono, continuamente, minacciati, oltre che costretti a fuggire e a nascondersi in un contesto ambientale nel quale le regole di convivenza, pacifica e civile, sono venute meno e gli istinti più selvaggi e tribali dell’essere umano stanno prendendo, nuovamente, il sopravvento e il controllo delle nostre azioni.
Hayao Miyazaki ha saputo leggere tra le righe del tempo e prevedere, di conseguenza, il profondo squilibrio sociale che le politiche liberiste stavano causando al mondo. Politiche che, all’epoca, alla fine degli anni Settanta e, successivamente, durante tutti gli anni Ottanta, rappresentavano sé stesse, anche grazie alla utile e servile manipolazione mediatica, come l’apice di un progresso, mai raggiunto prima di allora dal genere umano, promettendo, a tutti, più pace, più benessere, più serenità e più sicurezza. Ma, in realtà, come mostrato anche in Conan, quella falsa promessa serviva solamente a nascondere la fine di qualsiasi patto sociale e di qualsiasi forma di solidarietà, perché tutto doveva rientrare in una spirale eterna di produzione e di consumo e, quindi, ogni ideale, ogni sentimento, ogni emozione, ogni passione, ogni pensiero, ogni sogno, doveva essere temporaneo, precario e transitorio. Non importava se, intanto, la Terra venisse spinta verso un folle, insensato ed intensivo baratro di sfruttamento, senza alcun rispetto per il clima, per l’ambiente e per gli altri esseri viventi.
Fantasy, fantastico, ma, allo stesso tempo, dentro c’è una visione precisa di quel futuro che, oggi, è diventato il nostro bellicoso, cattivo, individualista e virtuale presente: Conan, il ragazzo del futuro, è il bambino che cresce tra le macerie e le devastazioni di Gaza City; è il rifugiato che affida la propria vita e le proprie speranze alle onde del mare; è la ragazza costretta a subire le peggiori ingiurie, le più assurde brutalità o le più efferate punizioni corporali da parte di un vile e violento regime teocratico; è chiunque, nonostante la tanto decantata moderna tecnologia, sia costretto a subire la fame, la povertà o le più banali malattie, solo perché le nazioni più potenti, più ricche e più armate possano continuare a sfruttare, in maniera indisturbata ed arrogante, le enormi ricchezze del pianeta.
In Conan, nelle sue storie, nei suoi dialoghi o nei suoi personaggi, possiamo ritrovare l’amore per la natura, la consapevolezza di essere, tutti, parte del medesimo viaggio, della medesima storia, del medesimo presente e, soprattutto, del medesimo futuro.
Vogliamo provare, davvero, cosa sia un conflitto nucleare? Vogliamo vivere con la paura di un’altra Fukushima? Vogliamo continuare la nostra forsennata corsa verso armi sempre più micidiali e sempre più distruttive? Vogliamo ancora mentire ed ingannare le future generazioni, riportando a galla quelli che sono i peggiori incubi del Novecento, i suoi fantasmi, i suoi inutili odi, il suo insensato razzismo, le sue due guerre mondiali e le innumerevoli piccole e grandi guerre regionali, che, oggi, dall’Ucraina al Medio Oriente, insanguinano anche il secondo Millennio?
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