Chi sono io?
Una domanda antica, l’esigenza degli esseri umani a costruire una propria riconoscibile identità, magari variabile nel tempo, ma sempre in grado di stringere un rapporto creativo con l’ambiente esterno, con tutto ciò che ci circonda: amici ed affetti cari, semplici conoscenze occasionali, le nostre città, con il loro background musicale, artistico, sociale, storico e visuale. Siamo, continuamente, alla ricerca della nostra identità, non si tratta di un fenomeno puramente adolescenziale, anche perché, attorno a noi, tutto muta e si trasforma: l’ambiente, la natura, le strade, i palazzi, i luoghi, le tecnologie, i linguaggi, i corpi. Da un lato, noi tentiamo di seguire questi cambiamenti, di non farci trovare impreparati, ma, dall’altro lato, cerchiamo di restare noi stessi, di restare stabili, in equilibrio tra passato e futuro, così da poterci riconoscere e, contemporaneamente, così da essere riconosciuti.
Una tensione continua, dunque, tra apertura e chiusura alle esigenze di cambiamento esterne, tra l’imprevedibile fluidità degli eventi globali e la necessità di mantenere le proprie immagini, le proprie idee e le proprie passioni, il più possibile, pure ed intatte. Una tensione che, per non trasformarsi in un elemento negativo e distruttivo, ha bisogno di trovare la sua liberatoria valvola di sfogo; essa è rappresentata dal dialogo, dal confronto tra le persone, da tutto ciò che è comunicazione, relazione o connessione, senza perdere, però, come detto, la propria identità, ovvero il proprio segreto, anzi conservandolo, gelosamente, in profondità, proprio come fa, da secoli, la città di Napoli, con le sue leggende, con le sue tradizioni, con i suoi riti, con le sue credenze, con quelle storie che mescolano, non senza ironia, ciò che è considerato sacro e ciò che, invece, è ritenuto pagano.
Ecco, dunque, che il cantante, con le sue accattivanti sonorità che scavano nelle ritmiche elettroniche e nei beat ballabili degli anni Novanta, si confonde con la stessa Partenope, con i suoi santi protettori, con i suoi fantasmi e le sue creature fantastiche, con i suoi eroi antichi e moderni, divertendosi, di conseguenza, a confondere le idee, a mescolare il vero ed il falso, la realtà di una città, sensuale, ma ricca di contraddizioni, del Sud Italia, con gli intensi e fulgidi colori delle immagini animate del film.
Siamo noi, alla fine, a scegliere in cosa vogliamo credere, siamo, infatti, dotati di poteri soprannaturali, siamo bambini che ascoltano una favola fantastica, ma, allo stesso tempo, minacciosa e pericolosa, e siamo anche parte di un’indagine che, attraverso questa antica città, ci ricorda chi siamo, ci ricorda le nostre radici comuni, ci ricorda le sofferenze patite, i soprusi subiti, le ingerenze straniere, le maldicenze ed i luoghi comuni che, ancora oggi, nel 2024, accompagnano chiunque – per un motivo o per l’altro – spesso, per mera provenienza geografica – sia considerato diverso, estraneo, differente, non perfettamente omologato rispetto quelli che sono i modelli e gli schemi considerati dominanti.
Ed, intanto, la musica di Liberato, la sua magia, il suo mistero, i suoi drammi e le sue fantasie, si confonde e si intreccia con altre musiche del mondo, in una sintesi perfetta tra l’antico e il moderno, tra il pop e l’elettronica, tra la tecnologia e la tradizione, tra il napoletano e l’inglese. Tutto, adesso, appare più prezioso, più bello e più chiaro, tranne, ovviamente, l’identità di Liberato che non deve e non può essere svelata, ma deve rimanere conservata nell’intimità, magica e turbolenta, di questa città-confine tra Occidente ed Oriente, tra passato e futuro, tra la terra ed il mare.
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