Gli Arab Strap sono sempre stati molto attaccati alla vita reale, a tutto quello che avviene dopo gli orari istituzionali della scuola, della famiglia o del lavoro, a tutto ciò che appartiene, per lo più, alla notte, comprese le ombre e i fantasmi che approfittano dei nostri momenti di fragilità, dei nostri sentimenti più autentici o delle nostre passioni inconfessate. Ma adesso, anche a causa della recente pandemia, si è creato uno spaccato profondo tra ciò che è e ciò che appare e, purtroppo, molte persone hanno preferito vivere in una dimensione surrogata ed irreale, perennemente connessi alle loro pagini social, inseguendo quei modelli fasulli di bellezza o di perfezione, che non fanno altro che spingersi verso la solitudine, verso la paranoia, verso la morbosità e verso una visione abominevole, malsana e pornografica di qualsiasi emozione.
L’indie-rock del duo scozzese, la sua intensa verbosità, carica di impegno, è sprofondata in questa dimensione disfunzionale ed egocentrica che modella ed omologa le nostre esistenze, riducendo i corpi a contenitori malati e privando le menti di ogni impulso creativo, di ogni stimolo all’azione e di ogni sano e costruttivo dubbio. Tutto quello che troviamo in rete è, necessariamente, vero e giusto, qualsiasi sia l’argomento che stiamo affrontando: politica, economia, salute, storia o attualità. Non esistono alternative, non esistono prospettive diverse, non esiste alcun elemento critico in queste nostre giornate istantanee; giorni atrofizzati che non hanno alcun passato da ricordare e nessun futuro da sognare, giorni incatenati ad uno statico ed immobile presente, paralizzati sul medesimo loop ritmico, sullo stesso groove di batteria, su quell’occhio invisibile che scansiona le nostre coscienze, al quale gli Arab Strap danno le sonorità di una antica connessione dial-up di un vecchio modem a 56K. Un suono apparentemente innocuo, ancestrale, accattivante e puro, ma che, invece, penetra tra nostri pensieri, li hackerizza ed esplode come una terribile bomba, un virus il cui obiettivo è diffondere la diffidenza e l’ostilità verso tutto quello che non conosciamo, comprese, ovviamente, le persone.
E così tutti sono nemici di tutti, tutti si fidano solamente dei loro influencer preferiti, tutti gettano merda su quelli che considerano i propri nemici, i propri avversari, i propri antagonisti. Ognuno si chiude, di conseguenza, nel suo piccolo micro-mondo, fregandosene di tutto quello che accade là fuori e prediligendo politici e politiche che non fanno altro che alimentare questo disinteresse globalizzato, questa visione nichilista del mondo, questa dilagane ignoranza, mentre, nel frattempo, teorie complottiste e negazioniste trovano, ovviamente, una facile e larga diffusione proprio tra quelle classi sociali che sono le più sfruttate, manipolate, controllate e costrette a vivere in uno schema disumano di precarietà, di incertezza, di insicurezza e di violenza, dominato, inoltre, da minacciose nubi di guerra ovunque i loro sguardi tentino di spingersi.
Ma questi sguardi non debbono spingersi in nessun luogo, debbono restare chini, proni ed abbassati, in un perenne stato di subalternità, è questo, alla fine, il loro scopo; è così che il sistema liberista si auto-sostiene, si impadronisce di ogni conoscenza, di ogni nozione, di ogni tecnologia, rendendo cattivo o ingiusto o sbagliato tutto quello che potrebbe limitare o minacciare la sua grassa, scaltra ed arrogante auto-referenzialità. Siamo stati truffati e ci piace, non c’è ne frega un cazzo della libertà o della democrazia, non ce ne frega un cazzo del clima che cambia negativamente, non ce ne frega un cazzo di quelli che muoiono sotto a causa dei missili, dei droni o in un meschino attentato, non ce ne frega un cazzo se si tratti di fascismo, di comunismo, di teocrazie assassine, di rigurgiti nazisti, di dittatori sanguinari, di terroristi spietati, di ipocrite multi-nazionali o di nuove forme di imperialismo colonialista; a noi, in fin dei conti, interessa solamente che i nostri nuovi e luccicanti smartphone possano disporre del massimo della connessione e della banda più larga, così da rinchiuderci nella nostra bolla di menzogne, l’unica dimensione nella quale si sentiamo appagati, soddisfatti, completi.
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