sabato, Dicembre 21, 2024
Il Parco Paranoico

Ypsigrock [XXVII edizione], Castelbuono 8-11/8/24

Bdrmm. Chalk. Beach Fossils. Nation Of Language. Egyptian Blue. Heatworms.

Performance eccezionali, che confermano Ypsigrock come uno dei festival più riusciti, sia a livello qualitativo, che organizzativo, dell’intero continente. L’Italia, ormai, sta troppo stretta al festival siciliano e Castelbuono può guardare e confrontarsi, senza alcun imbarazzo, con quelli che sono i più celebri e riusciti festival europei. La proposta musicale, anche in questa recente XXVII edizione, è stata interessante ed eterogenea, toccando svarianti orizzonti sonori, dallo shoegaze al post-punk, dall’elettronica al dream-pop, dall’hip-hop al post-rock, senza, però, mai perdere di vista i veri obiettivi di questo boutique festival, ovvero ampliare le proprie conoscenze, creare connessioni, uscire dai soliti schemi mediatici e commerciali che vogliono fare dell’estate solamente una stagione volgare, cacofonica, omologante e lobotomizzante nella quale le menti si svuotano ed i corpi si trasformano in raccapriccianti simulacri di falsità ed apparenza.

Alle band di cui sopra vanno aggiunte anche le esibizioni di Kae Tempest e degli Explosions In The Sky, ormai garanzie assolute, sia in termini di intensità, che di qualità, mentre – se vogliamo fare una critica a questa edizione del festival – ritengo che Colapesce e Di Martino, al di là dei gusti personali, del loro indubbio impegno, della loro simpatia e della loro innegabile professionalità, siano stati del tutto fuori contesto, soprattutto se pensiamo che, l’anno scorso, la serata del giovedì veniva chiusa dai Verdena. Eppure di artisti o progetti o band italiane più adatte alla dimensione del festival, in termini di ricerca, di sperimentazione, di impeto e di vigore, ce ne sono eccome.

Ma andiamo oltre e soffermiamoci, invece, su quelli che sono stati i passaggi più significativi e appassionanti di questo festival, iniziando dai ritmi spaziali e dalle aperture psichedeliche dei synth dei Bdrmm, i  quali, tra atmosfere meditative e chitarre ipnotiche, senza dimenticare quelli che sono stati i momenti più martellanti ed esplosivi, hanno affrontato, con i loro testi, tematiche difficili, come quelle della dipendenza e della solitudine, tentando, in un certo senso, di metterci in guardia, di spronarci a fare i conti con il futuro che stiamo costruendo, anzi preparandoci ad affrontarlo confidando anche nella musica, nelle altre persone e, in generale, in tutto quello che ci fa sentire vivi.

Il techno-punk degli irlandesi di Belfast, i Chalk, è stato, invece, qualcosa di travolgente, qualcosa in grado di risucchiarci, di masticarci e di sputarci fuori rinnovati e rigenerati, liberati, finalmente, da tutte le sciocche manie e le assurde fobie che caratterizzando i tempi moderni ed una società, falsa ed autoritaria, che tenta, con i suoi finti modi cortesi e con le sue elitarie visioni politically-correct del mondo, di escludere, dalle nostre esistenze, tutto il rumore, le oscillazioni, le distorsioni, i riverberi e le passioni che ci rendono veri, autentici e umani.

Una necessità di autenticità che pervade anche le trame shoegaze e indie-rock dei Beach Fossils, i quali riescono a dare una consistenza sonora ai conflitti che investono l’essere umano, alle sue paure, ai suoi bisogni, al caos nel quale egli è costretto a barcamenarsi quotidianamente, sfuggendo ai propri predatori o trasformandosi, a sua volta, in un piccolo despota tecnologico, in un assassino virtuale, in un perverso distruttore di sogni altrui. La band americana riesce ad innestare, su quello che il proprio pulsante background punkeggiante metropolitano, riflessioni acide e lisergiche, mentre le loro canzoni sollevano il velo sbiadito e fumoso che nasconde quella che è la nostra rissosa, claustrofobica e violenta realtà.  

Una realtà che ci fa guardare, con ammirazione e nostalgia, a quella dimensione ingenua di sonorità new-wave e synth-rock che caratterizzava gli anni Ottanta, sonorità che continuano a fluire sotto la nostra pelle e che i Nation Of Language, anch’essi provenienti da Brooklyn, riescono a tirare fuori, ad attualizzare e a mantenere vivide ed entusiasmanti. E’, infatti, liberatorio lasciarsi inebriare e tuffarsi tra le linee dei loro bassi, nelle aperture delle loro chitarre, nelle melodie che esortano i corpi a muoversi, a ballare, a pretendere i propri indispensabili spazi vitali, senza che qualcuno ci imponga cosa scegliere, come comportarsi, cosa considerare giusto e cosa ritenere sbagliato, chi amare, chi odiare, chi ascoltare, chi condannare, chi votare, chi seguire in paradiso o all’inferno. 

Una vera e propria sfida che necessita del rock energico degli Egyptian Blue, di un rock che sa essere diretto, combattivo ed urgente, di un rock che contiene, dentro di sé, un seme oscuro e lunatico, capace di esplodere, improvvisamente, in un labirinto intricato di sfumature blu, intanto che il cielo ed il mare si riversano sulla terra che stiamo avvelenando, profanando e rendendo sempre più inospitale ed ingiusta. Ecco perché il loro sound si fa esigente e spigoloso, rabbioso e tirato, orientandosi verso quelle ambientazioni drammatiche e post-punk che connettono il passato al presente e che vorrebbero riempire tutte le profonde crepe che si aprono, continuamente, nelle nostre anime tormentate.

Aggressività di matrice punk-rock nella quale gli Heartworms gettano la propria visione darkeggiante del mondo, il brivido furente della fine, il richiamo apocalittico della perdita, la consapevolezza di aver smarrito, per sempre, la propria innocenza, per sposare i piaceri dell’effimero, del comodo, del confortevole e di un’idea di bellezza eterna che è morbosa ed artificiale. Perché essa non ammette alcuna debolezza, alcun malanno, alcun intoppo, alcun cambiamento temporale. Gli Heartworms sanno regalarci la gioia della vendetta e della rivolta, attraverso il travolgente dolore della verità, attraverso l’euforica disperazione del tempo che scorre, attraverso le notti incombenti, attraverso quelle ombre che sanno tenerci silenziosamente compagnia e parlarci, molto più delle persone che ci stanno attorno e che, spesso, sono solamente degli automi, delle presenze senza senso, degli stupidi e prevedibili zombi.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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