La prima cosa che mi è venuta in mente, ascoltando il nuovo disco della band irlandese, è che le atmosfere oscure e le trame drammatiche di “Skinty Fia” sono, oramai, solamente un prezioso ricordo. Perché i Fontaines D.C., presa coscienza del loro successo mondiale, celebrato dai loro lunghi ed estenuanti tour, hanno deciso di allontanarsi, per ora, dalla cruda e sofferta poetica della loro terra natia ed allargare il loro spettro sonoro.
Questo deve essere, necessariamente, un male o un errore? Assolutamente no, anche perché “Romance” è, comunque, un buon disco e la capacità di trasformare i propri sentimenti in versi non è andata persa, anzi è ancora intatta e, molto probabilmente, sarà ancora più efficace grazie a questo nuovo percorso musicale; un percorso che guarda anche al rock degli anni Duemila, al rock più radiofonico e, quindi, per certi versi, più appetibile per le grandi masse che affollano gli stadi e le arene del pianeta.
Ovvio che tutti coloro che si sentono a proprio agio solamente con le sonorità post-punk vibranti e spigolose dei dischi precedenti, possano rimanere delusi da questi cambiamenti, ma, a volte, cambiare è indispensabile, perché ci consente di acquisire nuove conoscenze, nuove prospettive e, soprattutto, nuove visioni della realtà e, quindi, nuovi modi di interpretare la propria musica ed esprimere i propri sentimenti e le proprie idee. Sentimenti ed idee che – e questa è la cosa più importante – i Fontaines D.C. hanno conservato; basta, infatti, lasciarsi trasportare da “Starburster” lungo quel difficile e spesso doloroso cammino alla ricerca della verità, una verità che è sovente amara, ardua da comprendere, in grado di farci impazzire, ma imprescindibile se vogliamo essere migliori, se vogliamo donare qualcosa agli altri e lasciare un segno tangibile del nostro passaggio su questa terra.
L’approccio, ovviamente, è più classico e decisamente meno combattivo e barricadiero, ma le urgenze sono sempre le stesse, l’umanità è la medesima, la sensibilità non è in vendita e il vuoto seducente, dal quale scaturiscono le loro risposte musicali, è sempre lì. Per adesso, dunque, anche se gli eroici inni post-punk del recente passato riescono meglio, a mio giudizio, ad esprimere le difficoltà relazionali, le fobie e le manie aggressive dell’uomo moderno, dobbiamo dare credito a questa svolta artistica e, magari, scopriremo, un giorno, che i Fontaines D.C. hanno trovato quel salvifico equilibrio che tutti noi speriamo di trovare, prima o poi, nella vita. L’equilibrio che, a volte, album eccezionali, come, ad esempio, “Mellon Collie And The Infinite Sadness” o “Surfer Rosa” o “Pornography”, hanno espresso musicalmente e ci hanno saputo donare, oscillando, come stanno tentando di fare i Fontaines D.C, tra la nostalgia e la tensione, l’amore e la disperazione, la fama e la voglia di ritornare, in silenzio, a casa propria e non aver più timore dei fantasmi che la abitano.
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