Ore 23 e 25, via del Pratello – Bologna – la Polizia di Stato irrompe nella sede di una radio, decisa ad interrompere, per sempre, le trasmissioni, a dispetto di qualsiasi libero pensiero e qualsiasi diritto di parola, perché quella radio – Radio Alice – era stata accusata di “istigazione a delinquere”, ovvero di fomentare l’odio, l’eversione, l’insubordinazione e la rabbia contro le istituzioni e le forze dell’ordine.
Oggi, sappiamo benissimo che quell’irruzione fu soprattutto un violento, ingiusto, infame ed abnorme atto di censura; quella era una radio scomoda e fastidiosa, una radio che non era amica né della DC, né del PCI, né di qualsiasi altro partito politico; una radio che dava voce al Movimento, alle ragioni della protesta, ai conflitti sociali, a tutti quelli che si erano stancati di dover, continuamente, elemosinare i propri diritti dai politici, dai sindacati o dalle varie amministrazioni politiche – cittadine, regionali o nazionali.
La voce di Radio Alice, quella famosa notte del 12 Marzo 1977, era la voce di Valerio Minnella, la voce che accolse i poliziotti in tenuta antisommossa, mano dura di uno Stato che non esitava a picchiare, ad arrestare e perfino ad uccidere, quando qualcuno osava opporsi e mettere in discussione la loro arrogante visione, militarista e capitalista, del mondo e della società moderna. Siamo, infatti, in anni nei quali concetti come il pacifismo o l’obiezione di coscienza sono fortemente avversati; anni nei quali qualsiasi critica all’inserimento dell’Italia nella NATO o alla sua subalternità nella macchina bellica dell’alleato Americano, ti spingono, immediatamente, ai margini della società, nel mirino di polizia e servizi segreti.
“Ecco qui Beethoven , se va bene bene, sennò, seghe”, queste le celebri parole pronunciate da Valerio prima dell’irruzione, mentre metteva su il primo disco che gli capitava tra le mani, deciso a lanciare un appello radiofonico affinché tutti coloro che avessero a cuore i destini della libertà d’informazione potessero raggiungere, in breve tempo, la sede della radio sotto assedio. “Feed your head” cantavano i Jefferson Airplane nella loro “White Rabbit”, nutrire la testa, che era, esattamente, quanto volessero fare in quella radio, un luogo nel quale diverse e differenti anime coesistevano in pace, da quelle più antagoniste a quelle più libertarie, da quelle più pragmatiche a quelle più poetiche, ma tutte decise a rivendicare il diritto all’arte, alla musica, al sogno e alle proprie passioni, senza che la vita quotidiana, con i suoi impegni, i suoi obblighi, i suoi orari fissi, i suoi ritmi frenetici o le sue catene di montaggio, distruggesse quella che è l’unica, vera bellezza che conta.
Una storia, quella di Radio Alice, che abbiamo ascoltato tante volte, una storia di resistenza contro la superbia e la tracotanza del potere, che, quando è messo alle strette, non esita a chiamare a raccolta i suoi aguzzini. Avete dimenticato il G8 e Genova? I giorni nei quali un’altra generazione, ancora ingenua e innocente, scoprì quanto potesse essere violento, se messo alle corde, uno Stato “democratico”?
Quella notte furono arrestati in cinque, furono portati negli uffici della squadra mobile, furono pestati e poi furono portati in carcere, vi resteranno alcuni mesi, per poi essere rilasciati in libertà vigilata e, dopo sette anni, essere assolti. E, forse, gli è andata pure bene…
E’ giusto non dimenticare, è giusto che quei giorni ritornino a vivere, soprattutto in un’epoca nella quale la verità dei fatti rischia di essere sepolta dall’odio virtuale, un’epoca nella quale può essere considerato utile e comodo rinunciare al proprio spirito critico, alle domande scomode o ai dubbi, per sposare, in toto, la versione fornita dal più forte, dal più ricco, dal più potente. Ecco, dunque, che Stefania Alos Pedretti e Xabier Iriondo, Paolo L. Bandera e Giulia Parin Zecchin, Maurizio Iorio e Antonella Pintus, offrendoci la loro interessante, visionaria, riflessiva, acida e magica sonorizzazione di quell’irruzione, tentano di aprirci non solo gli occhi, ma soprattutto il cuore e la mente; perché, come detto, la mente che va nutrita e l’unico modo, sano e costruttivo, per farlo è renderla partecipe, metterla a conoscenza, spingerla, continuamente, a cercare, a dubitare, a conoscere, a chiedere, ad imparare, a comprendere, a scegliere liberamente, a non seguire, utilitaristicamente, quegli assiomi, fabbricati ad arte, che semplificano, relativizzano e banalizzano, per i propri porci comodi, tutto quello che avviene attorno a noi. Ne saremo ancora capaci?
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