Musica elettronica come terapia, musica elettronica come cura, musica elettronica come salvezza, musica elettronica come strumento per estirpare tutte quelle ossessioni che ci impediscono di vivere, a pieno, le nostre vite e di essere fiduciosi ed ottimisti riguardo il nostro futuro.
RITUAL è la strada e l’abbraccio psichedelico che Jon Hopkins offre ai suoi ascoltatori: uno specchio sonoro nel quale vedere riflessa la propria essenza, senza che condizionamenti esterni, comportamenti maniacali e paure irrazionali rovinino le nostre menti e avvelenino i nostri cuori. Otto parti di quello che possiamo considerare, a ragione, un unico brano, un viaggio nei meandri del cosmo, della chimica e della fisica che tengono assieme l’infinitamente grande della galassie, ma anche l’infinitamente piccolo di noi minuscoli esseri umani.
Una colonna sonora che mescola elementi ambient e techno, piegando quest’ultimi ai propri bisogni comunicativi. Una lunga suite che si confonde con l’eco delle pulsazioni pinkfloydiane che ancora pervadono l’universo, ultima testimonianza di qualcosa che era qui, con noi, solo un attimo fa, ma che, ora, ci appare solo come un sogno sfumato, una suggestione remota, una confortante illusione, una visione amorevole. E se tutto fosse stato solamente frutto della nostra immaginazione? La proiezione dei nostri bisogni più intimi? Una nostra ammaliante invenzione?
Forse siamo davanti alla incomprensibile volontà di una divinità o, magari, agli effetti di un acido o, perché no, alle elaborazioni artificiali di una macchina che tenta, in tutto e per tutto, di assomigliare ai propri creatori umani, esasperandone i difetti ed esaltandone le virtù, convinta di poter trasformare qualsiasi macchia, qualsiasi mancanza, qualsiasi torto e qualsiasi paranoia in un momento sonoro unico, nel pianto e nel sorriso che si raccordano in una sola, stupefacente nota; una nota capace di andare oltre la propria peculiare consistenza acustica e le leggi della meccanica che ne governano la diffusione, tramutandosi in un’immagine fantastica, suono uguale a luce, suono che spazza via il buio dalle nostre coscienze.
Un’immagine che si fissa sullo schermo, cupo e trepidante, delle nostre menti, indebolite ed impoverite dall’onnipresente e ridondante rete informatica, dalle sue connessioni invisibili, dalle sue simulazioni virtuali, dalle sue false ed irreali esistenze, dai suoi cloud, dai suoi database e da quella mole vagante di informazioni disumane. Perché senza comprensione, senza compassione, senza empatia, senza carità, senza la capacità di guardare il mondo anche con gli occhi degli altri, sarà difficile farne un buon uso. Tutto ciò dà un spessore drammatico all’album, rendendolo, allo stesso tempo, più toccante e più fragile e, quindi, più vicino a ciò che, in fondo, liberati da corazze, maschere ed apparenze, noi siamo.
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