I Molchat Doma, bene precisarlo, vivono, oggi, in America, a Los Angeles. La guerra voluta da Putin li ha messi dinanzi ad una scelta – umana, professionale, esistenziale e artistica – che li ha portati lontano dalla loro terra, dalle loro abitudini e dalla loro casa. Ma il loro accattivante suono, in bilico tra trame elettroniche, ritmiche post-punk, paesaggi urbani di metallo e cemento e simbolismo sovietico, resta immutato e continua ad alimentarsi di ambientazioni di matrice anni Ottanta, sia di stampo goth-rock, che di stampo new wave.
Ma, rispetto al passato, c’è più profondità, i sintetizzatori e le drum machine di “Belaya Polosa” sono più agguerrite e martellanti, facendo sì che la loro naturale e familiare tristezza sfoci in una visione più rabbiosa e appassionata del mondo che circonda la band. Il trovarsi altrove, l’abbandonare i propri ritmi familiari, il sentirsi, perennemente, un estraneo, uno sconosciuto, un alieno, dona alla loro musica un pathos che, probabilmente, prima, era celato tra le loro sonorità glaciali, lisergiche e ipnotiche. I Molchat Doma fanno domande, scoprono mancanze, intercettano dubbi, cercano appigli ai quali aggrapparsi, perché, il vuoto della disillusione è al di là dell’umana capacità di comprensione e rischia di spingerci, sempre più, verso la solitaria follia di una Luna muta e guardinga, silenziosa e solitaria.
Siamo stretti tra disordini personali e disordini politici, ma non possiamo rinunciare al sentimento, anche se esso trasuda di una lugubre e oscura malinconia, perché è proprio questo senso di smarrimento, alla fine, a guidarci, a spronarci e a non farci accontentare di quella che è una visione monolitica e monodimensionale dell’esistenza umana. Quella Luna, forse, non è così immobile e perduta come pensavamo; sta, semplicemente, cercando qualcuno che sia disposto ad ascoltarla; a volte, infatti, in una società così caotica e rumorosa, è sufficiente questo per ritrovare quel barlume di speranza che le grida, superbe e prepotenti, bellicose e veementi, dell’unica ragione, dell’unica verità e dell’unico pensiero, vogliono mettere, per sempre, a tacere.
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