Brant Bjork, Mario Lalli, Ryan Güt, proprio come le dune del deserto, rotolano liberamente e si sovrappongono l’uno all’altro, creando il loro singolare ed ammaliante suono, un suono onirico e coeso, drammatico e ritmato, che può essere, contemporaneamente, un potente groove stoner-rock, incisivo e martellante, un assolo spaziale, una fuga catartica verso il futuro, un’improvvisa apertura melodica funk-rock che sboccia, quanto meno te l’aspetti, in un immenso deserto di riff di chitarra infernali, magmatici e penetranti.
Penetranti perché accompagnano, in maniera naturale, i tuoi pensieri e le tue riflessioni, viaggiatore di un’epoca bellicosa, menzognera, virtuale e caotica, che tenta di ritrovare la propria strada seguendo le linee di basso di “Sunshine Is Makin’ Love To Your Mind”, mentre i beat massicci, le distorsioni, i feedback e la voce costruiscono una dimensione fantastica e fiabesca, un luogo ideale nel quale non c’è più urgenza, non c’è più violenza, non c’è più frenesia, non c’è più controllo, ma solamente un caldo ed amorevole vento psichedelico che ci accarezza la pelle e ci sussurra le sue parole e le sue formule magiche, rammentandoci che noi non siamo qui per combatterci, non siamo qui per odiarci e farci del male, non siamo qui per distruggere tutta la bellezza e l’armonia del Creato.
Ed è così che questa sorprendente miscela di desert e di stoner rock si perde nei suoni acidi e leggendari della California degli anni Settanta, approcciando ad essi con il tocco, l’umanità e la sensibilità analogica degli anni Novanta, senza alcuna fretta, senza alcuna pressione, senza alcun bisogno di strafare, perché tutto quello che ci occorre è proprio qui, a portata di mano, nei nostri cuori affaticati, ansiosi e stressati.
Tutto cambia, tutto evolve, tutto è mutevole, le cose vanno e vengono, così come le idee, i sogni e le persone; possiamo avere la fortuna di ritrovarle lungo il cammino oppure siamo costretti ad accontentarci solamente dei nostri preziosi ricordi, del loro sapore e del loro calore, ma, in entrambi i casi, sappiamo di poter contare sul nostro blues, il quale continua a pompare sangue, emozioni, sentimenti, passioni, fantasie e storie che dobbiamo, semplicemente, raccogliere e trasformare in scelte concrete, in azioni reali, nonché in comportamenti ed atteggiamenti finalizzati a migliorare non solo la nostra arte, la nostra professione o la nostra musica, ma, soprattutto, la nostra visione del mondo e il modo con cui interagiamo e ci relazioniamo con il prossimo, in particolare quando lo percepiamo come diverso, sconosciuto, lontano, estraneo a quelli che sono i nostri modi e i nostri costumi.
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