Nessun titolo. Basta.
E’ così che i Godspeed You! Black Emperor presentano questo nuovo album. Nessun titolo, nessun nome, proprio come nessun nome hanno le vittime innocenti dei tanti, troppi conflitti che insanguinano il mondo. Noi stiamo qui a discuterne, a fare i professori, a dare patenti di legalità o di giustizia, a somministrare colpe e ragioni, ma, intanto, la pila del morti si fa sempre più alta. Morti senza alcun nome.
La band canadese ci sprona ad agire; non basta dichiararsi pacifisti a parole, non è sufficiente affermare che la guerra è qualcosa di abominevole e poi continuare per la propria strada, magari facendo alleanze e stringendo patti ed accordi con coloro che queste guerre le promuovono, le alimentano, le sostengono e, spesso, le trasformano in ottimi affari. La nostra resistenza non può essere un concetto astratto, ma deve essere impegno concreto, attraverso la pressione che esercitiamo sui nostri politici e sui nostri governi, attraverso il voto, attraverso la disobbedienza civile, attraverso il boicottaggio, attraverso le manifestazioni di protesta e di dissenso. Nessuna guerra è giustificabile e non esistono guerre tali da colpire e punire solamente i cattivi e gli assassini e risparmiare, invece, tutti gli innocenti. “No Title As Of…”, come i precedenti dischi, continua a muoversi tra le brutture del mondo moderno, criticando, apertamente, la propaganda capitalista occidentale che tende, solitamente, a trovare una giustificazione per i propri errori politici, per le proprie scelte geo-politiche e per i comportamenti violenti dei propri amici. Le persone comuni si sentono, dunque, messe in un angolo da un sistema che non esita a stritolare tutti quelli che vorrebbero avere una visione più profonda, più ampia e più veritiera della realtà.
Questo bisogno di conoscenza si trasforma in una musica minacciosa e potente, in un crescendo di sonorità post-rock che si fanno sempre più appassionate e drammatiche, di pari passo con le visioni di distruzione e di morte che fanno irruzione nelle nostre case. Le nostre esistenze agiate, le nostre routine, i nostri salotti vengono, infatti, sconvolti dai cadaveri anonimi, dalle rovine e dalle macerie di quelle che, un tempo, sono state città, paesi, strade, palazzi e luoghi di coesistenza sociale, lavorativa, scolastica e familiare. I numeri, intanto, crescono; ormai siamo ben oltre le 28340 vittime, perché le operazioni militari del governo israeliano sembrano essere, ormai, senza fine, risucchiate da una insensata spirale di odio, di orrore e di vendetta alla quale nessuno sa dare uno stop definitivo, anche perché coloro che potrebbero, forse, fare davvero questo tentativo, preferiscono le mezze parole, le ragioni di parte, le vacue promesse, l’ipocrita solidarietà di chi pensa solamente a sè e ai propri possibili vantaggi.
I Godspeed tentano di intrappolare l’ombra nelle loro melodie circolari e nelle loro trame post-apocalittiche, nelle quali si mescolano elementi jazzistici, elettronici, sperimentali e shoegaze, in uno schema dinamico di salite e di discese, che ci conducono alla suite finale, al suo acido pop-rock, al fulgido raggio di luce che sembra farsi spazio nel cielo plumbeo, cupo e pesante. Una visione irreale? Un’ultima disperata speranza? Un messaggio di fiducia rivolto agli uomini e alle donne di buona volontà?
Intanto ogni cosa, attorno a noi, ci appare sfuggente, proprio come queste sei canzoni, proprio come il nostro stesso futuro, talmente enigmatico ed ignoto, che nemmeno la nostra tanto decantata tecnologia riesce a darci qualche risposta; forse perché non abbiamo ancora imparato ad ascoltare la voce della nostra coscienza, a diffidare delle assurdità e delle brutture del passato, a rifiutare tutto il sangue versato nel corso del Novecento; possiamo trasformare il male in una fonte inesauribile di impegno, di idee, di spunti e di coraggio, in un rock, strumentale ed ipnotico, che trae origine dal cuore arido e bellicoso della bestia e che poi termina, sorprendentemente, con la voce pura ed innocente di una bambina, una bambina chiamata Hope.
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