L’esibizione di Daniela Pes, al DumBo, si è adattata, senza perdere nulla delle sua originaria epicità e della sua delicata poetica, alle atmosfere elettroniche, evasive, festose, incisive e martellanti, del Robot. Due dimensioni musicali che si sono mostrate coese tra loro e che hanno consentito di scoprire, per una notte, l’anima più incalzante, più assillante e più pressante di “Spira”, facendo sì che la dimensione tribale e selvaggia del disco dell’artista sarda prendesse, spesso, il sopravvento su quella più riflessiva e spirituale.
Un album che è pervaso, in profondità, dal cambiamento, sia spaziale, che temporale, che lessicale e comunicativo, non poteva, infatti, non sentirsi a proprio agio in questa edizione numero 15 del festival bolognese. L’universo è ovunque, l’universo ci pervade: le sue crisi, le sue innumerevoli morti e le sue continue rinascite sono parte di noi stessi e del nostro piccolo mondo. Questo dinamismo esistenziale è stato espresso, musicalmente, alla perfezione durante il live: passaggi arrembanti, prepotenti e inclini a raggiungere sonorità acide, ossessive e persino techno, si sono mescolati con momenti di struggente malinconia e con trame meditative di matrice psichedelica, mentre Daniela Pes vestiva, in tutto e per tutto, le vesti di una antica divinità del fuoco.
Fuoco che, però, non è più sacro; fuoco che è stato sporcato dalla superbia umana e contaminato dalla nostra pericolosa follia atomica, diventando, di conseguenza, minaccia concreta di distruzione ed estinzione per l’intero Creato. Fuoco che solamente la simmetria degli incastri, la bellezza delle loro reciproche interferenze melodiche e la benevola concorrenza di trame folkeggianti, elettroniche ed ambient, possono riportare all’ancestrale grado di innocenza e di purezza. Abbiamo bisogno, infatti, di una luce vera, di qualcosa che non sia solo il prodotto effimero di un calcolo di convenienza o interesse; questa luce può essere, senza alcun dubbio, quella del dancefloor, quella che illumina le notti del Binario Centrale, quella che Daniela Pes racchiude nelle sue canzoni-seme.
Questo concerto, dunque, è un vero e proprio atto di curativa espiazione; un momento unico, nel quale possiamo e dobbiamo, finalmente, liberarci, dei filtri che opprimono e disturbano la verità delle cose, delle persone, dei fatti, degli eventi, delle idee e dei pensieri; dei pensieri con i quali, purtroppo, noi stessi, ci imbrogliamo, ci convinciamo di felicità, di certezze o di verità che non esistono, spingendoci, sempre più, verso uno stato di colpevole, disgustosa e rabbiosa paranoia. Uno stato di malessere dal quale possiamo uscire solamente trovando nuovi stimoli, nuove energie, nuove occasioni, nuove percezioni ed anche nuovi linguaggi con i quali poter interagire e comunicare con coloro che abbiamo attorno, proprio ciò che questo concerto, questo disco, queste canzoni e questa splendida artista ci hanno donato e continuano a donarci.
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