“Please don’t shuffle”, è così, con queste poche parole, che la band britannica, ha accompagnato il suo nuovo lavoro; un disco che, invece, contrariamente a quanto richiesto, fa l’esatto contrario: mescola idee, concetti, sonorità, ritmi, parole ed esperienze molteplici e diverse e lo fa in maniera davvero conturbante ed interessante.
“Denver Luna”, con il suo groove acido ed ipnotico, ci trasporta su di un pianeta sconosciuto, nei profondi meandri trance della galassia, mentre “And The Colour Red”, con le sue vibranti e penetranti trame house, ci riporta sulla Terra, arricchiti, però, del dono di essere in grado di dare un significato e un senso diverso a tutto quello che ci circonda. Contenuti che, finalmente, sono più veri, più concreti, più tangibili e, soprattutto, svincolati dalle alterazioni mediatiche che, spesso, contaminano la nostra capacità di percepire l’autenticità delle passioni, dei sentimenti, delle emozioni e delle percezioni umane. Ed è proprio così che succede: senza accorgercene diventiamo quei mostri disumani, feroci ed efferati che distruggono e demoliscono qualsiasi ideale, sogno e forma di vita; i mostri che gli Underword, con le ammalianti e ballabili trame techno della stupefacente e vigorosa “Techno Shinkansen”, con i suoi nostalgici rimandi ai big-beat degli anni Novanta, tentano di ricondurre alla ragione, alla luce, alla speranza ed alla verità, liberandoli, finalmente, da tutti gli obblighi, gli impegni, i divieti, le regole e i doveri che hanno inventato per tenerli e tenerci in catene.
L’obiettivo è quello di scavare nelle profondità dello spirito, sintonizzare i pensieri, i ricordi e le tante verità taciute e nascoste con le melodie sintetiche di queste quindici canzoni, con le loro fascinose aperture trip-hop, con la morbidezza delle parole, con le atmosfere beate della pista da ballo, luogo nel quale possiamo smettere di fingere e di essere altro, riprendendoci il controllo dei nostri sensi e facendo sì che la fantasia possa, nuovamente, scrivere le sue storie, incitandoci e spronandoci a compiere la scelta diversa, a credere di più in noi stessi, a non aver timore di trasmettere e di condividere ciò che proviamo. Perché, in fondo, noi siamo solamente delle minuscole parti della sinfonia, delle strofe che, da sole, non vanno da nessuna parte, ma che, invece, se riescono a suonare assieme, a mescolarsi, a combinarsi, a mischiarsi e a influenzarsi a vicenda, possono, davvero, dare inizio a qualcosa di eccezionale, di unico, di possente e di armonioso.
Dunque, cosa faremo? Ci mescoleremo?
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