Le trame cinematiche dei Cazale fluttuano nello spazio profondo, oltrepassano le innaturali e dispotiche barriere che vengono, sempre più spesso, innalzate tra i generi musicali, le idee, le culture, le storie e le persone, e danno vita, sugli schermi intorpiditi, assuefatti ed annoiati delle nostre menti, ad un flusso incessante di immagini e sensazioni prodotte dal magico intreccio dei nostri ricordi e delle nostre esperienze personali con le sonorità strumentali della band romagnola.
Non un unico film, ma una moltitudine di pellicole – individuali e collettive – che sussurrano le loro fantasiose narrazioni, i loro piccoli e grandi drammi esistenziali, le loro preziose speranze, i loro sogni, i momenti più tragici e dolorosi, ma anche quelli più divertenti e spensierati, attraverso le architetture jazzistiche, avanguardiste e post-rock dei Cazale, i quali, intanto, tracciano la loro linea, immaginaria e fiabesca, tra un minuscolo e sperduto paesino dell’Appennino Romagnolo e il misterioso pianeta rosso.
Il sassofono, la chitarra e il basso hanno, ovviamente, il proprio linguaggio, interpretano, in maniera peculiare e singolare, le diverse prospettive spazio-temporali, si lasciano ammaliare da quelle che sono visioni specifiche e particolari, ma, alla fine, si ritrovano a partecipare e a condividere le medesime suggestioni e gli stessi turbamenti. Un’ondata di stati d’animo che si riversa sugli ascoltatori, permettendo loro di evadere dalla ristretta, affannosa e frenetica dimensione quotidiana, una dimensione nella quale ci sentiamo, tutti, più o meno costretti a muoverci nella stessa identica, forzata e obbligatoria direzione. Ma, adesso, mentre questi sei brani si dispiegano fuori e dentro di noi, riusciamo, finalmente, a contrapporre al vuoto qualcosa che è al di là degli scaffali virtuali degli iper-mercati globali di internet, qualcosa che esula dagli assurdi ed impossibili schemi estetici dei social, qualcosa che non deve essere, necessariamente, utilizzato, consumato e gettato via.
A volte siamo risucchiati da passaggi sonori che sono più cupi e malinconici, ci sentiamo minacciati, ma la bellezza di queste musiche sta anche nella loro capacità ad interagire, a danzare, a comunicare e a comprendere persino il caos più brutale e aggressivo, trasformando la sua famelica ferocia nella passione che fa riverberare e interagire tra loro i singoli strumenti, le diverse interpretazioni, i molteplici racconti umani, così da riemergere assieme nel territorio fertile e gratificante di questo disco, pronti a costruire, noi stessi, qualcosa di migliore, di più bello, di più umano, di più significativo, di più duraturo.
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