“I partiti non fanno più politica”, queste sono le parole amare che Enrico Berlinguer pronunciò in una delle sue più celebri e studiate interviste, il 7 Dicembre del 1980. Sono passati più di quarant’anni da quel giorno, e il nostro rigetto ha, ormai, raggiunto un livello colossale; la politica, infatti, ha perduto ogni linea di condotta, ogni strategia, ogni principio ispiratore, trasformandosi in un enorme contenitore di slogan semplicistici, di razzismo a buon mercato, di atteggiamenti menefreghisti, di becero individualismo e di frasi di circostanza da dare in pasto a media volgari e qualunquisti, il cui unico obiettivo è aggraziarsi il potente, il ricco e il forte, nascondendo, di conseguenza, quella che è la realtà del mondo contemporaneo e perdendo qualsiasi interesse verso la verità, verso la comprensione delle ragioni altrui, verso lo studio dei fatti e degli eventi.
Oggi viviamo un’epoca senza passioni e, dunque, anche i politici, svuotati di qualsiasi coinvolgimento, interesse, attenzione ed impegno, senza più programmi o idee, diventano i gestori di interessi altrui, spesso sovranazionali e finiscono nelle mani di entità ed organismi loschi e meschini; entità che non hanno più il bene comune come proprio obiettivo, bensì la crescita delle proprie ricchezze economiche, della propria influenza e della propria autorità, fregandosene di quelle che sono le leggi, le regole, i principi di giustizia, di legalità e di umanità.
Siamo sprofondati, nonostante la sofisticata tecnologia, le intelligenze artificiali e i chip sempre più minuscoli e potenti, in una dimensione degenere di clan in lotta perenne tra loro per spartirsi e lottizzare lo Stato, la società civile, l’arte, la cultura, i media, il mondo del lavoro, l’economia, la scuola, la sanità, le banche e l’università: in pratica il nostro stesso futuro e qualsiasi speranza di rendere il nostro mondo – perché, oramai, non ha più alcun senso parlare solo d’Italia o d’Europa – un luogo migliore nel quale far crescere e prosperare le prossime generazioni.
Questo film intercetta gli anni che vanno dal 1973 al 1978, quando Berlinguer era il segretario del PCI, il più forte ed influente partito comunista del mondo occidentale, ma non incontriamo solamente il politico, ma, anche e soprattutto, il sognatore, l’idealista, il padre, il marito, l’amico, il compagno, lo studioso, il viaggiatore, colui che – più che le proprie ambizioni personali o il trionfo del socialismo reale – aveva a cuore la democrazia e, nel nome della democrazia, non esitò a incontrare e a collaborare con il nemico politico democristiano, accordandosi con Aldo Moro e arrivando a rifiutare i fondi sovietici, mentre, nel frattempo, il partito raggiungeva, alle politiche del 1976, il 34,4 % delle preferenze, ottenendo 288 seggi alla Camera e portando un altro comunista, Pietro Ingrao, alla presidenza della stessa Camera dei Deputati.
Anni difficili, ma anche anni carichi di sogni e di speranze, musicalmente furono anni di transizione, ma anche di ribellione e rivoluzione, delle prime narrazioni wave, dei primi ruggiti punk, del CBGB e del Max Kansas City, di Patti Smith e dei Television, mentre il rock ‘n roll ipersonico dei Ramones giungeva a Londra e si trasformava nelle irriverenti esibizioni dei Sex Pistols, la band fortemente voluta da Malcolm McLaren, stanco oramai dei New York Dolls, e desideroso di pubblicizzare e far parlare giornali, radio e televisioni del suo nuovo negozio di moda, il “SEX”. In Italia, invece, dominavano, ancora incontrasti, i cantautori, il “no future” di Johnny Rotten era solamente un’eco distante e remota, intanto che uscivano “Via Paolo Fabbri 43” di Francesco Guccini e “Bufalo Bill” di Francesco De Gregori, album che, in maniera diversa, preferivano entrambi incamminarsi su una strada di armonie e di melodie più tradizionali e di testi complessi ed impegnati, i quali, più che creare immediato e furente scalpore, intendevano spronare le persone comuni a guardare dapprima dentro di sé e, successivamente, a rapportarsi con il mondo esterno, con i suoi conflitti sociali, con le sue derive autoritarie, con le sue innumerevoli crisi e ferite aperte.
Un approccio più gentile, affabile e malinconico e, in un certo senso, più vicino a quello di Berlinguer e a quello di Elio Germano, l’attore chiamato ad interpretare il leader comunista e a carpirne l’umanità, l’eccezionale capacità comunicativa e la semplice ed umana gestualità. Seguendo questa linea emotiva arriviamo, dunque, alla colonna sonora di Iosonouncane, un artista unico, in grado di trasformare quelle stesse armonie e melodie cantautoriali in una musica innovativa e incantata; una musica che guarda sempre in avanti, ricercando, destrutturando e ristrutturando quello che è il patrimonio culturale e musicale mediterraneo ed italiano, amalgamandolo in un contesto di sonorità ambient, avanguardiste, minimali ed elettroniche, senza perdere la naturale, necessaria e intima connessione con le radici arcaiche della musica rock – con il blues, con il jazz, con l’afro-beat – e, soprattutto, restando sempre fedele ad una visione aperta, libera, estesa ed eterogenea della musica contemporanea, sia che si tratti della sonorizzazione di un film , sia che si tratti di un brano più radiofonico o più essenziale e ricercato.
L’unico nemico che può soffocarci è, infatti, l’assoluta mancanza di idee o di ispirazione, ovvero la perdita di tutte quelle passioni che ci spingono, purtroppo, come sosteneva lo stesso Berlinguer, a compiere il lavoro sporco per qualcun altro, qualcuno che aspira solamente a controllare e a manipolare, e, per farlo, non esita ad alimentare ed amplificare comportamenti, atteggiamenti, modelli ed ideologie violente, arroganti, ingiuste e profondamente razziste. Da ciò nasce l’anima oscura, ansiosa, palpitante e inquieta di “Piazza della Loggia” e “Brigate Rosse”, brani nei quali sentiamo tutto il peso e tutta la gravità della storia passata, degli errori commessi, dei momenti che hanno segnato la nostra nazione, portandoci, parallelamente, in una dimensione spaziale, claustrofobica e spietata, da cui le successive “Agnelli” e “Giulio il collezionista”, grazie alla loro consistenza più secolare e mondana, ci consentono di fuggire, riportandoci, attraverso le persone reali, attraverso le loro vicende umane, attraverso le loro narrazioni, sulla Terra. E, qui sulla Terra, possiamo guardare i loro occhi, siano esse persone importanti o meno, possiamo seguirne i passi, possiamo interpretarne le scelte, mentre i suoni intensi, misteriosi e orrifici di “Roma N57686”, di quel corpo senza vita, prendono il sopravvento e ci conducono alla fine del disco, a quelle che sono le sonorità più rasserenati, fiduciose e morriconiane di “Isola piana” e “I funerali di Berlinguer”, al lascito di un uomo che, con le sue azioni, ci ha indicato la strada da seguire: combattere qualsiasi privilegio, difendere i più poveri, i più emarginati, tutti quelli che sono soli e svantaggiati, dare a tutti la possibilità di prosperare, di vivere in pace, di essere sicuri, di poter sognare un futuro migliore, di cambiare le proprie condizioni di vita, nel rispetto degli altri e delle loro preziose diversità.
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