I dischi, in fondo, sono come la nostra memoria, ci permettono di rivivere il nostro vissuto, di rielaborarlo, in base alle esperienze e alle conoscenze attuali, di trasformalo in una molla o una leva e, persino, di donarlo e condividerlo con gli altri. I Mondaze ne sono consapevoli e con questo nuovo album, “Linger”, tentano, a modo loro, di esplorare il passato, di comprendere ogni ricordo e di immaginare e progettare il miglior futuro possibile.
Tutto ciò, ovviamente, può rendere le trame di questi brani nostalgiche, cupe e malinconiche, mentre le chitarre affrontano le nebulose atmosfere nelle quali si nascondono le ombre e le paure delle stagioni trascorse, i fantasmi di tutte le persone che ci hanno abbandonato o che abbiamo perduto, intanto che gli impegni frenetici della nostra quotidianità vogliono costringerci ad essere insensibili e distaccati, apparentemente normali, ma sappiamo benissimo che questa normalità è tossica, virale e pericolosa, perché ci disumanizza e ci trasforma in mostri.
Mostri contro i quali i Mondaze scagliano le loro distorsioni, le loro ritmiche più incisive e gli echi ipnotici di un’epoca spensierata che, però, attraverso i passaggi e i momenti più sognanti, pop e melodici, tentiamo, con loro, di rendere, nuovamente, attuale. Certo, non possiamo richiuderci in ciò che è già stato, sarebbe solamente una prigione malata, ma possiamo ricostruire e recuperare i sentimenti, le passioni e gli stati d’animo che abbiamo smarrito, lasciandoci, nel frattempo, influenzare, proprio come fa questa musica, che evade i confini naturali dello shoegaze e dell’indie-rock, da tutto quello che ci accade attorno.
Influenze, contaminazioni e trasformazioni continue, senza paure, senza preclusioni, senza chiusure, è questo il suono della vera resistenza, è questa la politica più nobile e positiva, quella che ci permetterà di liberarci dalle ansie, dalle frustrazioni e dalla monotonia, da tutto ciò che ci corrode e ci consuma, da tutto ciò che ci avvelena e ci svilisce, spingendoci verso una rabbiosa, aggressiva e disumana alienazione.
“Linger” è il punto di rottura sperato, perché spingendosi anche in territori dissimili, verso sonorità rumorose, verso aperture armoniche, verso divagazioni punkeggianti, vuole, semplicemente, ritrovare il calore e la luce dell’umanità, senza alcuna illusione, senza alcuna finzione, senza alcuna assuefacente restrizione, consapevole del dolore celato in “Dusty Eyes”, delle mancanze evocate da “Lines Of You”, della bellezza e della temporaneità di “A Butterfly’s Last Dance”.
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