Una narrazione eterogenea, ma sapientemente amalgamata, di suoni cosmici, di divagazioni sperimentali, di scenari immaginifici e di accecante, bizzarra, accattivante e salvifica follia, che alza il sipario su quella che è una rappresentazione musicale, vibrante ed appassionata, della nostra contraddittoria realtà, mentre, nel frattempo, trame sonore diverse ed incalzanti, rumori ed effetti elettronici danno vita, di volta in volta, a passaggi che sono più melodici, suadenti ed armoniosi, oppure più cupi, più minacciosi e più pressanti.
Echi di una dimensione discordante e distorta, nell’istante nel quale si è meno certi dell’esistenza stessa del mondo, si contrappongono ad atmosfere che sono più morbide ed indulgenti, come se tutto il disco fosse un’unica sorprendete suite, come se fosse un unico dramma esistenziale, come se fosse la denuncia di un passato oscuro, ostinato ed opprimente, ma, contemporaneamente, anche la speranza in un futuro – in equilibrio tra Ummagumma, l’idealismo platoniano e le città invisibili di Calvino – che sia, finalmente, libero da qualsiasi manipolazione artificiale, da qualsiasi sciocca formula virtuale e, soprattutto, da qualsiasi crudele, ingiusta, terrificante e violenta autocrazia.
I due artisti, Vittorio Nistri e Filippo Panichi, ci spronano e ci aiutano a ritrovare, in quelli che sono i nostri ricordi più intimi, in quelli che sono stati, un tempo, i nostri sogni, le nostre infatuazioni e le nostre passioni, il respiro idilliaco ed energico della purezza perduta, la voce del mare, le verità poste oltre gli schermi bugiardi dei computer e degli smartphone, tentando di amplificare e di dare consistenza ad un linguaggio globale di suoni e di atmosfere lisergiche, un linguaggio strumentale che è più efficace di qualsiasi discorso, di qualsiasi ammaliante e funesto slogan politico, di qualsiasi insulso e banale luogo comune.
Un fiume orchestrale, sciamanico e psichedelico, che scruta tanto nel territorio fertile delle nostre fantasie nascoste, quanto negli enormi e bui spazi intergalattici, scavando, intanto, brano dopo brano, passo dopo passo, costellazione dopo costellazione, pianeta dopo pianeta, il prezioso solco creativo nel quale ciascun ascoltatore può lasciare cadere le sue riflessioni, le sue idee, le sue emozioni, le sue esperienze, le sue domande, le sue aspirazioni e i fragili suoni della sua anima inquieta, ferita, ammaccata, intorpidita e, purtroppo, assuefatta da quelle che sono le fluide imposizioni del mercato globale, i cui meccanismi, assordanti e famelici, annichiliscono ogni sussurro, ogni dubbio, ogni voce discordante, ogni comportamento o atteggiamento o pensiero che non sia, perfettamente e supinamente, omologato.
Queste nebbie fosche e intossicanti si riversano nei groove più misteriosi, tenebrosi e voraci, nei passaggi più strazianti e più claustrofobici, quelli che risucchiano ogni epoca passata, ogni stagione, ogni luogo fisico ed ogni debole barlume di umanità, ma quando tutto sembra essere stato, per sempre, perduto ed abbandonato, ecco che le trame più soavi e più delicate riemergono dal vuoto, con i loro cambi di ritmo, con le loro vibrazioni più amorevoli, positive e allucinogene, facendo sì le luci del primo mattino spingano via il gelido, dissonante e mortale soffio del vento notturno, riappianando, in un attimo, tutti i nostri torti e le nostre colpe, tutte le promesse mancate, i pegni dimenticati e, soprattutto, i sentimenti che attendono, da troppo tempo, d’esser condivisi.
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